P.D. JAMES

COPRITELE IL VOLTO

(Cover Her Face, 1962)

 

1

 

Esattamente tre mesi prima dell'assassinio avvenuto a Martingale, la signora Maxie aveva dato una cena. Anni dopo, quando il processo era ormai uno scandalo quasi dimenticato, e i titoli ingiallivano sui giornali che rivestivano i cassetti dell'armadio, Eleanor Maxie ricordò quella sera di primavera come se fosse stata il primo atto della tragedia. La memoria, malignamente selettiva, caricava quella che era stata una cena del tutto ordinaria, di una atmosfera d'inquieto presentimento. Diventava, retrospettivamente, la riunione rituale, sotto un unico tetto, della vittima e degli indiziati, la rappresentazione di preludio all'omicidio.

In realtà non tutti gli indiziati erano presenti. Felix Hearne, per dirne uno, quel fine settimana non era a Martingale. Pure, nel ricordo, anche lui sedeva alla tavola della signora Maxie, e guardava con occhio divertito e sardonico le stramberie degli attori in apertura di scena.

Allora, naturalmente, era stata nel complesso una cena del tutto normale, e alquanto noiosa. Tre degli invitati, il dottor Epps, il parroco e la signorina Liddell, direttrice del Ricovero per ragazze madri St. Mary, avevano cenato assieme troppo spesso per aspettarsi dalla reciproca compagnia qualche novità o stimolo. Catherine Bowers era insolitamente silenziosa, mentre Stephen Maxie e sua sorella, Deborah Riscoe, dissimulavano con palese difficoltà l'irritazione per il fatto che il primo fine settimana di Stephen libero dall'ospedale, in più di un mese, dovesse coincidere con una cena. La signora Maxie aveva appena assunto come cameriera fissa per il servizio a tavola una delle ragazze madri della signorina Liddell, e la ragazza stava servendo per la prima volta. Tuttavia l'atmosfera di imbarazzo era difficilmente imputabile alla presenza di Sally Jupp, che disponeva i piatti di fronte alla signora Maxie e levava quelli sporchi con disinvolta efficienza, suscitando la compiaciuta approvazione della signorina Liddell.

È probabile che almeno uno degli ospiti fosse pienamente felice. Bernard Hinks, parroco di Chadfleet, era uno scapolo, e qualsiasi evasione dai nutrienti, ma immangiabili pasti cucinatigli dalla governante, sua sorella - la quale non era mai invitata a cena fuori dalla canonica -, era un sollievo che lasciava poco margine alle relazioni sociali. Era un uomo gentile, dal viso dolce, che mostrava più dei suoi cinquantaquattro anni, e godeva reputazione di essere timido e vago, tranne per quel che riguardava le questioni di dottrina. La teologia era il suo interesse intellettuale dominante, se non l'unico, e i suoi parrocchiani, non arrivando sempre a comprendere i suoi sermoni, li accettavano tuttavia come segno sicuro dell'erudizione del loro parroco. Il paese, comunque, concordava nel ritenere che in canonica si potessero ottenere consigli ed aiuto e che, se i primi talvolta erano un po' confusi, sull'aiuto si poteva far affidamento.

Al dottor Charles Epps quella serata offriva una cena coi fiocchi, un paio di donne affascinanti con cui parlare, ed un piacevole diversivo alla banalità della vita di provincia. Vedovo, risiedeva da trent'anni a Chadfleet, e conosceva abbastanza bene i suoi pazienti da poter predire con esattezza quanto avrebbero vissuto. Era convinto che un medico potesse fare ben poco per influenzare la conclusione, che c'era della saggezza nel sapere quand'era il momento di morire con il minimo di inconvenienti per gli altri e di dolore per sé, e che molti dei progressi della medicina prolungavano solo di pochi e tormentati mesi la vita, a maggior gloria unicamente del medico curante. Con tutto ciò, era meno stupido e più abile di quanto non gli concedesse Stephen Maxie, e pochi dei suoi pazienti arrivavano al momento fatale anzitempo. Egli aveva assistito la signora Maxie durante il parto di entrambi i figli, ed era il medico e l'amico del marito, per quel tanto che la mente confusa di Simon Maxie poteva ancora riconoscere e apprezzare l'amicizia. Ora sedeva al tavolo dei Maxie, e ingoiava il soufflé di pollo con l'aria di chi si sia guadagnato la sua cena e non abbia alcuna intenzione di lasciarsi contagiare dagli altrui malumori.

«Così avete preso Sally Jupp e il suo bambino, Eleanor?» Il dottor Epps non si lasciava mai inibire dall'ovvietà di una constatazione. «Due graziose creature. Vi farà piacere aver di nuovo per casa un bambino.»

«Speriamo che Martha sia d'accordo con voi» rispose secca la signora Maxie. «Ha un disperato bisogno di aiuto, naturalmente, ma è molto conservatrice. Può risentire della situazione più di quanto non dica.»

«Le passerà. Gli scrupoli morali vengono meno facilmente, quando si tratta di avere un paio di mani in più all'acquaio.» Il dottor Epps liquidò la coscienza di Martha Bultitaft agitando il suo tozzo braccio. «In ogni caso il bambino non ci metterà molto a conquistarla. Jimmy è un bambino incantevole, chiunque sia suo padre.»

A questo punto, la signorina Liddell ritenne di dover far sentire la voce dell'esperienza.

«Non credo, dottore, che si debba parlare del problema di questi bambini troppo alla leggera. Naturalmente dobbiamo mostrare carità cristiana,» qui, la signorina Liddell fece un mezzo inchino in direzione del parroco, come per riconoscere la presenza di un altro esperto e scusarsi di aver invaso il suo campo «ma non posso fare a meno di pensare che la società nel suo complesso stia diventando troppo comprensiva con queste ragazze. Il livello morale del paese continuerà ad abbassarsi, se si accorda più considerazione a questi bambini che non ai figli legittimi. E ci stiamo già arrivando. Ci sono tante povere madri rispettabili a cui non si dedica la metà delle preoccupazioni e delle attenzioni che si prodigano ad alcune di queste ragazze.»

Si guardò attorno, arrossì, e riprese a mangiare con energia. Ebbene, e se anche sembravano tutti sorpresi? Era necessario che lo dicesse. Era compito suo. Lanciò un'occhiata al parroco, come se si aspettasse il suo sostegno, ma il signor Hinks, dopo una prima occhiata perplessa, era tornato a concentrarsi sul cibo. La signorina Liddell, abbandonata da un alleato, pensò con irritazione che quel caro parroco non era altro che un piccolo ingordo chino sul suo piatto! D'un tratto udì Stephen Maxie che parlava.

«Questi bambini non hanno nulla di diverso dagli altri, se non che gli dobbiamo di più. E non mi sembra nemmeno che le loro madri abbiano niente di particolare. Dopotutto, quanta gente segue, nella pratica, il codice morale che rimprovera a queste ragazze di violare?»

«Molti, dottor Maxie, ve lo assicuro.» La signorina Liddell, per la natura stessa del suo lavoro, non era abituata a sentirsi contraddire dai giovani. Stephen Maxie poteva anche essere un promettente giovane chirurgo, ma questo non ne faceva un esperto in delinquenza femminile. «Sarei orripilata se dovessi pensare che alcuni dei comportamenti con cui vengo a contatto nel mio lavoro sono rappresentativi della gioventù moderna.»

«Beh, come rappresentante della gioventù moderna, lasciatevi dire da me che non è così raro che ci si conceda di disprezzare solo quelli che sono stati colti in castagna. Questa ragazza che abbiamo qui, tuttavia, mi sembra perfettamente normale e rispettabile.»

«Ha dei modi semplici e raffinati, e anche un buon livello d'istruzione. Una ragazza da scuole secondarie! Non mi sarei mai sognata di raccomandarla a vostra madre se non fosse stata un tipo assolutamente fuori dal comune tra le ragazze del St. Mary. In effetti è un'orfana, cresciuta da una zia, ma spero che questo non debba giocare nella vostra compassione. Il dovere di Sally è di lavorare sodo, e di trarre il maggior profitto da questa opportunità. Il passato è una parentesi chiusa, ed è meglio scordarlo.»

«Dev'essere difficile scordare il passato, quando se ne possiede un memento così tangibile» disse Deborah Riscoe.

Il dottor Epps, infastidito da una conversazione che andava provocando malanimo, e una digestione probabilmente anche peggiore, si affrettò a contribuire con il suo placebo. Purtroppo, il risultato fu solo quello di prolungare la discussione.

«È una buona madre e una bella ragazza. Probabilmente incontrerà un ragazzo che la sposerà. Sarebbe la cosa migliore. Non posso dire di amare queste relazioni di una ragazza madre con bambino. Diventano troppo assorbenti, e portano talvolta ad una gran confusione psicologica. Ogni tanto penso, signorina Liddell - grande eresia, lo so -, che la cosa migliore sarebbe di far adottare questi bambini da una buona famiglia fin dall'inizio.»

«È la madre responsabile del figlio» sentenziò la signorina Liddell. «È suo dovere tenerlo e occuparsene.»

«Per sedici anni, e senza l'aiuto del padre?»

«Naturalmente, dottor Maxie, se appena è possibile, tentiamo di ottenere l'affiliazione. Purtroppo Sally si è rivelata molto ostinata, e rifiuta di dirci il nome del padre. In questo modo ci è impossibile aiutarla.»

«Pochi scellini non portano lontano al giorno d'oggi.» Stephen Maxie sembrava perversamente deciso a non lasciar cadere l'argomento. «E immagino che Sally non prenda nemmeno l'indennità governativa per il figlio.»

«Questo è un paese cristiano, mio caro fratello, e il prezzo del peccato è la morte, non otto scellini presi dai soldi dei contribuenti.»

Deborah aveva parlato sottovoce, ma la signorina Liddell aveva sentito, e aveva la sensazione che questo fosse voluto. La signora Maxie parve aver deciso che era il momento di intervenire. Almeno due dei suoi ospiti, del resto, pensavano che avrebbe potuto farlo anche prima. Non era da lei lasciarsi sfuggire le situazioni di mano.

«Visto che devo chiamare Sally,» disse «non sarebbe male cambiare argomento. Mi renderò del tutto impopolare interrogandovi sulla festa parrocchiale. So che sembrerà che vi abbia adescati qui con falsi pretesti, ma dovremmo veramente pensare ad una possibile data.» Questo era un argomento sul quale tutti gli ospiti potevano senza alcun rischio mostrarsi loquaci e quando Sally entrò, la conversazione aveva assunto un tono tanto ordinario, amichevole e sciolto, da soddisfare anche Catherine Bowers.

La signorina Liddell osservò Sally Jupp mentre si muoveva attorno al tavolo. Era come se la conversazione di quella sera l'avesse spinta per la prima volta a vedere chiaramente la ragazza. Sally era molto magra. I capelli spessi, d'un rosso dorato, ammassati sotto la cuffia, sembravano un peso eccessivo per un collo così esile. Le braccia erano lunghe e un po' infantili, con i gomiti che sporgevano, premendo sulla pelle arrossata. La sua bocca, larga, adesso era immobile, e i suoi occhi verdi fissi contegnosamente sulle sue mansioni. Improvvisamente la signorina Liddell fu presa da un irrazionale accesso d'affetto. Sally si stava comportando veramente bene, veramente molto bene! Alzò lo sguardo per catturare gli occhi della ragazza, e darle un sorriso di approvazione e incoraggiamento. I loro occhi si incontrarono all'improvviso, e per due interi secondi si guardarono fissi. Poi la signorina Liddell arrossì e chinò gli occhi. Certo si era sbagliata! Certo Sally non avrebbe mai osato guardarla in quel modo! Confusa e atterrita, tentò di analizzare l'effetto straordinario di quel breve contatto. Ancor prima che i suoi lineamenti avessero assunto la paternalistica maschera dell'incoraggiamento, aveva letto negli occhi della ragazza non la remissiva gratitudine che la caratterizzava al Ricovero St. Mary, ma un ilare disprezzo, un abbozzo di complotto, e un'ostilità la cui intensità l'aveva quasi spaventata. Poi gli occhi verdi si erano nuovamente abbassati, e Sally, da un enigma, era tornata ad essere la remissiva e sottomessa favorita della signorina Liddell, la sua delinquente preferita. Tuttavia quell'attimo aveva lasciato le sue tracce, e la signorina Liddell era caduta improvvisamente in uno stato di morbosa apprensione. Aveva raccomandato Sally senza riserve. Tutto, sul suo viso, era così soddisfacente! La ragazza era un tipo veramente superiore. Troppo brava per il lavoro a Martingale, in realtà. La decisione era stata presa. Era troppo tardi per metterne in dubbio la saggezza ora. Il massimo che poteva accadere era il rientro ignominioso di Sally al St. Mary. La signorina Liddell si rese conto per la prima volta che l'introduzione della sua favorita a Martingale poteva presentare delle complicazioni. Non si poteva pretendere che prevedesse, però, la portata di quelle complicazioni, né che avrebbero condotto ad una morte violenta.

Catherine Bowers, che era a Martingale per il fine settimana, aveva parlato poco durante la cena. Essendo per natura una persona onesta, era un po' sconcertata di scoprire che le sue simpatie andavano alla signorina Liddell. Certo era molto generoso e galante, da parte di Stephen, difendere così energicamente Sally e la sua categoria, ma Catherine aveva provato la stessa irritazione che la prendeva quando le sue amiche non infermiere parlavano della nobiltà del suo lavoro. Era molto bello avere idee romantiche, ma queste non erano molto gratificanti per chi lavorava con le padelle per gli ammalati o con i delinquenti. Era stata tentata di dirlo, ma la presenza di Deborah all'altro capo della tavola l'aveva trattenuta. La cena, come tutte le situazioni malriuscite, sembrò durare tre volte più del normale. Catherine pensava che mai una famiglia aveva indugiato tanto sul caffè, che mai gli uomini avevano tirato così in lungo un atto di presenza. Nondimeno era giunta a conclusione. La signorina Liddell era tornata al St. Mary, lasciando intendere che preferiva non lasciare troppo a lungo la signorina Pollack da sola a effettuare la sorveglianza. Il signor Hinks aveva borbottato qualcosa sugli ultimi ritocchi al sermone dell'indomani, e si era dileguato come uno spirito sottile nell'aria primaverile.

I Maxie e il dottor Epps si erano seduti in salotto, godendosi felicemente il focolare e parlando di musica. Certo non era l'argomento che avrebbe voluto Catherine. Persino la televisione sarebbe stata preferibile, ma, a Martingale, l'unico televisore era nella stanza di soggiorno di Martha. Se si doveva chiacchierare, Catherine avrebbe voluto che fosse di medicina. Il dottor Epps avrebbe potuto benissimo dire: «Naturalmente voi siete un'infermiera, signorina Bowers; come è bello per Stephen avere qualcuno con cui condividere i propri interessi». Poi loro tre avrebbero preso a chiacchierare, mentre Deborah avrebbe serbato un vacuo silenzio, e si sarebbe dovuta render conto che gli uomini si stancano delle donne belle e inutili, anche se ben vestite; avrebbe capito che ciò che occorreva a Stephen era una che comprendesse il suo lavoro, che potesse parlare con i suoi amici con sensibilità e cognizione di causa. Era un sogno allettante e, come la gran parte dei sogni, non aveva relazione alcuna con la realtà. Catherine stava seduta con le mani rivolte alla sottile fiamma del focolare, e tentava di apparire a proprio agio, mentre gli altri parlavano di un compositore il cui nome era, stranamente, Peter Warlock, e di cui non aveva mai sentito parlare, se non in un vago e irrecuperabile senso storico. Certo Deborah pretendeva di non comprenderlo, ma, come di consueto, riusciva a rendere la sua ignoranza piacevole. I suoi tentativi di coinvolgere Catherine nella conversazione, indagando sulla signora Bowers, erano un segno di condiscendenza, non di gentilezza. Fu dunque un sollievo quando entrò la nuova domestica, portando un messaggio per il dottor Epps. Una delle sue pazienti, in una fattoria fuori mano, aveva cominciato le doglie.

Il dottore si sollevò con riluttanza dalla sedia, si scosse come un cane irsuto, e si scusò. Catherine fece il suo ultimo tentativo. «Un caso interessante, dottore?» chiese vivacemente. «Mio Dio no, signorina Bowers!» Il dottor Epps cercava, girando l'occhio vacuo, la sua borsa. «Ne ha già avuti tre. Una piccola, graziosa donnina, non c'è dubbio, e le fa piacere di avermi lì. Dio solo sa perché! Potrebbe sgravarsi da sola senza scomporsi un capello. Beh, arrivederci Eleanor, e grazie per l'ottima cena. Pensavo di salire un attimo da Simon prima di partire, ma verrò domani, se è possibile. Vi occorrerà la ricetta per il Sommeil, immagino. La porterò con me.» Salutò amabilmente la compagnia con un cenno del capo, e sgattaiolò in anticamera con la signora Maxie. Presto intesero il rombo dell'auto lungo il viale. Era un guidatore appassionato, e amava le auto piccole e veloci, da cui usciva a fatica, e in cui assomigliava ad un vecchio orso vizioso in cerca di gozzoviglie.

«Bene,» disse Deborah, non appena il rumore dello scappamento si fu spento in lontananza, «e questa è fatta. Che ne direste ora di andare giù alle stalle, da Bocock, a vedere i cavalli? È un'idea, se a Catherine va di fare una passeggiata.» Catherine desiderava ansiosamente una passeggiata, ma certo non con Deborah. Era davvero incredibile, pensava, come Deborah non volesse o non arrivasse a capire che lei e Stephen desideravano stare un po' soli. Tuttavia, se non lo metteva in chiaro Stephen, difficilmente avrebbe potuto farlo lei. Più presto si fosse sposato, e fosse stato lontano da tutte quelle relazioni femminili, meglio sarebbe stato per lui. Gli succhiano il sangue, pensava Catherine, che aveva trovato quel tipo nelle sue ricognizioni attraverso la narrativa moderna. Deborah intanto, beatamente ignara di queste sue tendenze vampiresche, faceva strada attraverso la porta-finestra, e giù per il prato.

 

Le stalle, che erano appartenute un tempo ai Maxie, ed erano ora proprietà del signor Samuel Bocock, distavano appena duecento metri dalla casa, e si trovavano dall'altro lato del giardino. Il vecchio Bocock era lì che puliva i finimenti alla luce di una lampada antiuragano, fischiettando tra i denti. Era un uomo piccolo, dalla carnagione scura e la faccia da gnomo, con occhi a mandorla ed una bocca larga. Il suo piacere nel vedere Stephen fu evidente. Andarono tutti a dare un'occhiata ai tre cavalli con i quali Bocock stava tentando di mettere in piedi un piccola attività. "Erano veramente ridicole" pensò Catherine "tutte quelle smancerie che Deborah prodigava ai cavalli, strofinando il naso sui loro musi con amorevoli vezzeggiamenti, come se fossero stati esseri umani. Istinto materno frustrato" pensò con disapprovazione. "Le farebbe bene spendere un po' di quell'energia per dei bambini. Non che sarebbe di grande utilità, certo." Dal canto suo non desiderava che di tornare a casa. La stalla era meticolosamente pulita, ma nulla può nascondere l'odore dei cavalli dopo il moto, e Catherine per qualche ragione lo trovava fastidioso. A un certo punto, la mano magra e scura di Stephen si posò accanto alla sua sul collo dell'animale. L'impulso a toccare quella mano, a carezzarla, a portarsela anche alle labbra, fu per un attimo così forte, che dovette chiudere gli occhi. E allora, nell'oscurità, le tornarono alla mente altre immagini, vergognosamente piacevoli: la stessa mano, ancora più scura sul suo biancore, appoggiata al seno, che si muoveva lenta e tenera, messaggera di piacere. Uscì un attimo, barcollando nel crepuscolo primaverile, e udì dietro di sé la voce lenta ed esitante di Bocock mescolarsi alle risposte appassionate dei Maxie. Conobbe allora un altro di quei momenti di panico che la prendevano periodicamente, da quando si era innamorata di Stephen. Venivano all'improvviso, e tutto il suo buon senso e la sua forza di volontà risultavano impotenti contro di loro. Erano momenti in cui tutto le sembrava irreale, e poteva percepire quasi fisicamente la sabbia che inghiottiva i suoi sogni. Tutto il suo tormento e la sua incertezza si focalizzarono su Deborah. Era Deborah il nemico. Deborah che era stata maritata, e aveva almeno avuto la sua occasione per essere felice. Deborah, che era bella, egoista e futile. Ascoltando le voci alle sue spalle, nell'oscurità crescente, Catherine si sentiva morbosamente carica d'astio.

 

Nel tempo che impiegarono a tornare a Martingale, Catherine era riuscita a ricomporre il suo dramma interiore, e il drappo funebre si era sollevato. Aveva recuperato la consueta fiducia in se stessa. Andò a letto presto e, abbandonandosi allo stato d'animo del momento, credette quasi possibile che lui venisse da lei. Si diceva che sarebbe stato impossibile nella casa paterna, un atto di follia da parte di lui, un intollerabile abuso d'ospitalità da parte di lei. Ciò nondimeno attese nell'oscurità. Dopo poco intese dei passi sulle scale - i passi di lui e di Deborah. Fratello e sorella ridevano dolcemente tra loro. Passando davanti alla sua porta, non si fermarono nemmeno.

 

2

 

Al piano di sopra, nella bassa camera da letto bianca, che era stata la sua fin dall'infanzia, Stephen si distese sul suo letto.

«Sono stanco» disse.

«Anch'io.» Deborah sbadigliò e si sedette sul letto accanto a lui. «È stata una cena piuttosto cupa. Avrei preferito che mamma non la facesse.»

«Sono tutti così ipocriti.»

«Non possono farne a meno. Sono stati allevati così. Del resto non penso che Eppy e il signor Hinks fossero molto in disaccordo con loro.»

«Immagino di essermi reso piuttosto ridicolo» disse Stephen.

«Beh, sei stato un po' impetuoso. Un po' come Sir Galahad che si butta in difesa della fanciulla offesa, senonché questa probabilmente è più una peccatrice, che una contro cui si sia peccato.»

«Non ti piace molto, vero?» disse Stephen.

«Mio caro, non ci ho pensato. Lavora qui, questo è tutto. So che sembrerà molto reazionario di fronte alla tua concezione illuminata, ma non era nelle mie intenzioni. Semplicemente non mi interessa da nessun punto di vista, né credo di interessare a lei.»

«Mi dispiace per lei.» C'era qualche cosa di aggressivo nella voce di Stephen.

«Questo era abbastanza evidente a tavola» rispose Deborah asciutta.

«È stata quella loro maledetta aria di soddisfazione che mi ha demoralizzato. E quella donna, la Liddell. È ridicolo affidare un ricovero come il St. Mary ad una zitella.»

«Non ne vedo il motivo. Può forse essere un po' limitata, ma è gentile e coscienziosa. Dopotutto, ritengo che il St. Mary abbia già sopportato un eccesso di esperienza sessuale.»

«Oh, per l'amor del cielo, Deborah, non essere così ironica!»

«Beh, come ti aspetteresti che fossi? Ci vediamo una volta ogni quindici giorni. È un po' indisponente trovarsi di fronte ad una delle cene di rappresentanza di mamma e dover guardare Catherine e la signorina Liddell che ridacchiano all'idea che tu abbia perso la testa per una bella cameriera. Questo è proprio il tipo di volgarità che delizierebbe in modo particolare la Liddell. Per domani certo la conversazione avrà fatto il giro del paese.»

«Se hanno pensato una cosa del genere, sono matte. A malapena l'ho vista, la ragazza. Non credo di averle neanche parlato ancora. È un'idea ridicola!»

«Questo è ciò che intendevo dire. Per l'amor del cielo, tesoro, tieni sotto controllo il tuo spirito di crociata, quando sei a casa. Pensavo che saresti riuscito a sublimare la tua coscienza sociale all'ospedale, senza portarla anche in casa. Rende la convivenza difficile, specie quando agli altri manca.»

«Ho un po' i nervi a fior di pelle oggi» disse Stephen. «Non sono sicuro di sapere come comportarmi.»

Era tipico di Deborah di afferrare subito ciò che intendeva dire.

«È piuttosto desolante, nevvero? Perché non chiudi con l'intera faccenda, garbatamente? Debbo supporre che c'è una faccenda da liquidare.»

«Dannazione, lo sai bene che c'è - o c'era. Ma come finirla?»

«Non ho mai trovato difficoltà in queste cose. Il segreto sta nel far credere all'altro che è stato lui a farla finita. Dopo poche settimane lo credo praticamente io stessa.»

«E se non stanno al gioco?»

«Gli uomini muoiono, e i vermi li mangiano, ma questo non accade per amore.»

Stephen avrebbe desiderato chiederle quando e se avrebbe addottato la stessa tattica con Felix. Pensò che in questo, come in altre cose, Deborah possedeva una durezza che a lui mancava.

«Suppongo di essere un codardo in queste cose» disse. «Non mi riesce mai facile scrollarmi di dosso la gente, neppure i seccatori ai ricevimenti.»

«Infatti» incalzò la sorella. «Questo è il tuo difetto. Troppo debole e suscettibile. Dovresti sposarti. Mamma ne sarebbe veramente felice. Con una danarosa, se possibile. Non ripugnante, ovviamente, semplicemente molto ricca.»

«Indubbiamente. Ma chi?»

«Già, chi?»

Improvvisamente Deborah sembrò aver perso interesse per l'argomento. Si alzò dal letto e andò ad appoggiarsi al davanzale della finestra. Stephen ne osservò il profilo, così simile al suo e pure così misteriosamente diverso, che si stagliava contro l'oscurità della notte. Le vene e le arterie del giorno morente si stendevano all'orizzonte. Dal giardino sottostante gli giungeva tutta la ricca ed infinitamente dolce gamma di odori che, in Inghilterra, distillano le notti di primavera. Giacendo nella frescura notturna, chiuse gli occhi, e si abbandonò alla pace di Martingale. In momenti come questo comprendeva perfettamente come sua madre e Deborah si arrabattassero tanto a fare piani per conservargli intatta l'eredità. Era il primo dei Maxie, lui, a studiare medicina. Aveva fatto quello che voleva, e la famiglia l'aveva accettato. Dopotutto avrebbe potuto scegliere qualche cosa di anche meno remunerativo, ma era difficile immaginare che cosa. Col tempo, se resisteva alla fatica, ai rischi, alla concorrenza selvaggia, avrebbe potuto diventare consulente. Forse avrebbe raggiunto anche un successo tale da consentirgli di mantenere Martingale da solo. Nel frattempo avrebbero tirato avanti come potevano, facendo piccole economie domestiche, che non intaccassero naturalmente il suo benessere: riducendo le spese per la beneficenza, facendo più giardinaggio in proprio per risparmiare i tre scellini all'ora del vecchio Purvis, assumendo ragazze non specializzate per aiutare Martha. Nulla di tutto ciò gli avrebbe creato seri disagi, e ogni cosa avrebbe contribuito ad assicurargli la successione a suo padre, così come Simon Maxie era succeduto al suo. Se solo avesse potuto godersi Martingale per la sua quiete e la sua bellezza, senza sentirsi legato da questo fascio di responsabilità e di colpe!

 

Si udì un rumore di passi lenti e circospetti sulle scale, poi dei colpi alla porta. Era Martha con le bevande calde per la notte. Ai tempi della sua infanzia, la vecchia Nannie aveva deciso che una bevanda calda, prima di dormire, avrebbe aiutato a scacciare gli incubi terribili e misteriosi di cui lui e Deborah, per un breve periodo, avevano sofferto. Gli incubi avevano ceduto presto il passo alle ben più concrete paure dell'adolescenza, ma le bevande calde erano rimaste un'abitudine familiare. Martha, come sua sorella prima di lei, era fermamente convinta che costituissero l'unico vero talismano contro i pericoli reali o immaginari della notte. Posò dunque con cautela il suo piccolo vassoio. C'erano la tazza blu di Wedgwood, che usava Deborah, e la vecchia tazza con l'incoronazione di Giorgio V, che il nonno aveva regalato a Stephen. «Vi ho portato anche la vostra ovomaltina, signorina Deborah» disse Marta. «Ho immaginato che vi avrei trovato qui.» Parlò a voce bassa, come se stessero ordendo una congiura. Stephen si chiese se aveva capito che si era parlato di Catherine. Gli ricordava abbastanza la vecchia Nannie, quando portava le bevande per la notte, e si fermava a parlare. Ma non era proprio lo stesso. La devozione di Martha era meno costante, più cosciente e meno gradevole. Era la contraffazione di un'emozione che era stata per lui semplice e necessaria, come l'aria che respirava. Nel ripensare a questo, ricordò anche che Martha aveva bisogno di tanto in tanto del suo zuccherino.

«È stata una cena deliziosa, Martha» disse.

Deborah si era voltata, e circondava con le sue mani sottili, dalle unghie rosse, la tazza fumante.

«È un vero peccato che la conversazione non valesse quanto il cibo. Abbiamo avuto una conferenza della signorina Liddell sulle conseguenze sociali dell'illegittimità. Cosa ne pensi di Sally, Martha?»

Stephen sapeva che era una domanda indelicata. Non era da Deborah farne di simili.

«Sembra abbastanza posata,» ammise Martha «ma certo, questi non sono che i primi giorni. La signorina Liddell ne ha parlato in modo molto lusinghiero.»

«A sentire la signorina Liddell,» disse Deborah «questa Sally sarebbe il modello di ogni virtù, salvo una, e anche lì non si tratterebbe che di un errore della natura, che non avrebbe riconosciuto al buio una ragazza delle scuole superiori.»

Stephen rimase sbalordito dall'improvviso rancore che vibrava nella voce della sorella.

«Non mi sembra che tutta quest'istruzione sia una buona cosa, in una domestica, signorina Deborah.» Martha riuscì a far intendere che lei se l'era sempre cavata benissimo senza. «Spero solo che si renda conto di quanto è fortunata. La signora le ha persino prestato la nostra culla, quella in cui avete dormito anche voi.»

«Beh, ora non ci dormiamo più.» Stephen tentò di non lasciar trasparire la propria irritazione dalla voce. Gli sembrava che si fosse parlato a sufficienza di Sally Jupp! Ma Martha non sopportava intimidazioni. Era come se fosse stata profanata lei stessa, e non una semplice culla di famiglia. «Abbiamo sempre avuto cura di quella culla, dottor Stephen. Doveva essere conservata per i nipoti.»

«Al diavolo!» disse Deborah. Si pulì le dita dalla bevanda versata, e ripose la tazza sul vassoio. «Non dovreste far progetti sui nipoti prima che siano nati. Potete far conto che io non mi ci metta nemmeno, e Stephen non è nemmeno fidanzato - né ci pensa. E nel caso deciderà probabilmente per una formosa ed efficiente infermiera, che preferirà comperare una nuova culla più igienica per conto suo, in Oxford Street. Grazie per la bevanda, mia cara Martha.» Nonostante il sorriso, era un congedo.

Furono scambiati gli ultimi saluti della buona notte, e gli stessi passi guardinghi ridiscesero le scale. Quando furono svaniti, Stephen disse:

«Povera vecchia Martha. La prendiamo un po' come un bene acquisito, ma questo lavoro da domestica tuttofare sta diventando troppo pesante per lei. Credo che dovremmo prendere in considerazione l'idea di pensionarla.»

«Con che soldi?» Deborah era di nuovo alla finestra.

«Almeno ora ha un po' di aiuto» disse Stephen temporeggiando.

«Purché non crei più complicazioni di quanto non aiuti. La signorina Liddell ha deciso che il bambino è straordinariamente tranquillo, ma qualsiasi bambino che non strilli due notti su tre si può considerare tale. E poi c'è il bucato. Non credo che Sally potrà essere di molto aiuto a Martha, dovendo passare metà della mattina a sciacquare pannolini.»

«Si presume che altre madri lavino i pannolini,» disse Stephen «pure trovano lo stesso il tempo per fare altri lavori. Questa ragazza mi piace, e penso che potrà dare una mano a Martha, solo che le se ne dia la possibilità.»

«Perlomeno ha trovato un buon difensore in te, Stephen. È un vero peccato che tu sarai molto probabilmente ben al sicuro all'ospedale, quando cominceranno i guai.»

«Che guai, santo cielo? Che diavolo avete, voi tutti? Per quale mai motivo devi presumere che quella ragazza combinerà dei guai?»

Deborah si diresse alla porta. «Perché sta già creando guai» disse. «Non è vero? Buona notte.»

 

3

 

Nonostante i cattivi auspici sotto cui aveva debuttato, le prime settimane di Sally Jupp a Martingale furono un successo. Se lei condividesse o meno questo punto di vista non era noto. Nessuno chiese il suo parere. Tutto il paese aveva deciso che era una ragazza molto fortunata. Se, come spesso accade a chi è oggetto di favori, provava meno gratitudine del dovuto, era riuscita a nascondere i suoi sentimenti sotto una maschera di mansuetudine, deferenza e voglia d'imparare, che la gente era ben contenta di prendere per la realtà. Non ingannò Martha Bultitaft, e probabilmente non avrebbe ingannato i Maxie, se solo si fossero presi la briga di pensarci. Ma erano troppo presi dalle loro questioni personali, troppo contenti per l'alleggerimento delle faccende domestiche, per poter vedere i guai a metà strada.

Martha dovette ammettere che il bambino, in principio, non costituiva un grande problema. Imputò questo alla buona educazione della signorina Liddell, visto che era al di là della sua comprensione che una ragazza traviata potesse essere una buona madre. James era un bambino tranquillo, che, nei primi due mesi a Martingale, si accontentava di venir nutrito alle ore stabilite, senza pubblicizzare rumorosamente la sua fame, e dormiva tra i pasti, pago del suo latte. Tutto ciò non poteva durare a lungo. Coll'avvento di quello che Sally definì un "regime misto", Martha aggiunse diversi sostanziali motivi di lagnanza alla sua lista. Sembrava che la cucina non dovesse mai essere libera dalla presenza di Sally e dalle sue richieste. Jimmy stava entrando rapidamente in quella fase dell'infanzia dove i pasti diventano, piuttosto che una piacevole necessità, un'occasione per esercitare il proprio potere. Attentamente impacchettato nel suo seggiolone, inarcava la robusta schiena in atto di parossistica resistenza, ed emetteva dalle labbra contratte una schiuma di latte e cereali, in un estatico rigurgito, per poi riadagiarsi in uno stato di disarmante e sottomessa innocenza. Sally gli urlava, ridendo, lo tirava a sé in un vortice di tenerezze, lo vezzeggiava e sbaciucchiava con insolente noncuranza verso i borbottii di disapprovazione di Martha. Lì seduto con il suo fitto ciuffo di ricci, col suo piccolo naso a becco, in alto, quasi nascosto tra le guance paffute, rosse e sode come mele, sembrava dominare la cucina di Martha, in trono come un imperioso Cesare in miniatura. Sally cominciava a passare più tempo col suo bambino, e Martha l'avrebbe vista spesso, di mattina, con la sua testa luminosa china sulla carrozzina, donde lo sbucare inatteso d'una gamba o di un braccio paffuti avvertivano che i lunghi periodi di sonno di Jimmy erano ormai cosa del passato. Non c'era dubbio che le sue esigenze sarebbero aumentate. Fino a quel momento Sally s'era industriata di tenersi in pari col lavoro assegnatole, e di conciliare le richieste del figlio con quelle di Martha. E se lo sforzo cominciava a farsi evidente, solo Stephen lo notava, con qualche rimorso, durante le sue visite quindicinali. La signora Maxie chiedeva saltuariamente a Sally se trovava il lavoro troppo pesante, e si accontentava ben volentieri della risposta che otteneva. Deborah non si accorgeva di nulla, o comunque taceva. Era in ogni caso difficile capire se Sally era troppo stanca. Il suo viso naturalmente pallido sotto la massa dei capelli, le sue braccia sottili e apparentemente fragili, tutto concorreva a dare un'idea di fragilità, che Martha per prima trovava profondamente ingannevole. Dura come una nocciola, e furba come un carro pieno di scimmie, era la sua opinione.

La primavera maturava lentamente in estate, e le gemme dei faggi si dischiusero in un'esplosione luminosa di verde, proiettando sul viale un'ombra dalla trama quadrettata. Il parroco celebrò la Pasqua secondo i suoi gusti, disturbato solo dalle solite recriminazioni e spiacevolezze che correvano nel gregge dei fedeli sulle decorazioni della chiesa. La signorina Pollack, al Ricovero St. Mary, attraversò un periodo di insonnia, per il quale il dottor Epps le prescrisse delle speciali compresse. Due delle interne si decisero a sposare i padri dei loro bambini, poco attraenti, ma apparentemente pentiti, e la signorina Liddell ammise due nuove madri peccaminose al loro posto. Sam Bocock fece pubblicità alle sue stalle nella Città Nuova di Chadfleet, rimanendo sbalordito della quantità di giovani che, provvisti di calzoni da cavallerizzo nuovi e scomodi, e di guanti giallo canarino, erano disposti a pagare sette scellini e sei penny all'ora per cavalcare a passo lento per il paese sotto la sua tutela. Simon Maxie giaceva nel suo angusto letto, stando come sempre né meglio, né peggio. Le sere si allungarono e fiorirono le rose. Il giardino di Martingale era carico del loro profumo. Mentre Deborah ne coglieva alcune per la casa, ebbe la sensazione che il giardino e la stessa Martingale fossero in attesa di qualcosa. D'estate la casa era sempre nel pieno fulgore della sua bellezza, ma quest'anno percepiva come un'aria d'aspettazione, quasi di presagio, estranea alla sua consueta, rinfrescante serenità. Rientrando carica di rose, Deborah scacciò quelle morbose fantasie col pensiero disgustoso che ora l'evento più inquietante che minacciava Martingale era la festa parrocchiale. Quando le parole «attendendo una morte» attraversarono improvvisamente la sua testa, si disse con fermezza che suo padre non era peggiorato, che anzi forse stava un po' meglio, e che in ogni caso la casa non ne poteva sapere nulla. Riconobbe che il suo amore per Martingale non era del tutto razionale. Talvolta si provava a moderarlo, parlando di «quando dovremo vendere», come se il suono di quelle parole potesse agire ad un tempo da avvertimento e da talismano.

La festa parrocchiale di St. Cedd si celebrava a Martingale fin dai tempi del bisnonno di Stephen. Era organizzata da un comitato composto dal parroco, dalla signora Maxie, dal dottor Epps e dalla signorina Liddell. Le loro mansioni amministrative non erano mai molto complicate, dato che la festa, col sostegno attivo della chiesa, si perpetuava identica di anno in anno, simbolo della continuità dei valori nel caos dominante. Tuttavia il comitato prendeva sul serio le sue responsabilità, e si riuniva spesso a Martingale, durante tutto giugno e la prima parte di luglio, a prendere il tè in giardino e a ratificare le decisioni già ratificate l'anno precedente, con le stesse parole e nello stesso ambiente ameno. L'unico membro del comitato che talvolta si sentiva effettivamente a disagio era il parroco. Per il suo carattere bonario, preferiva vedere il meglio in ciascuno, supporre ragioni valide dovunque fosse possibile, e includeva anche sé in questa visione benevola, avendo scoperto molto presto, nel corso del suo sacerdozio, che la carità era tanto una politica quanto una virtù. Tuttavia, una volta all'anno, il signor Hinks guardava in faccia alcune spiacevoli realtà della sua parrocchia. Lo preoccupava la sua esclusività, il suo impatto negativo con i fermenti della zona periferica della Città Nuova di Chadfleet, il sospetto che costituisse più una forza sociale che spirituale nella vita del paese. Una volta aveva suggerito che la festa si chiudesse come si apriva, con una preghiera ed un inno, ma l'unico membro del comitato a sostenere questa stupefacente innovazione era stata la signora Maxie, la cui unica critica nei confronti della festa era che sembrava non finire mai.

Quest'anno la signora Maxie pensava che sarebbe stata contenta della volontà di collaborazione di Sally. Per la festa c'erano molti volontari, anche se i più pensavano di cavarne il massimo piacere con il minimo sforzo, ma le incombenze non s'esaurivano con l'organizzazione riuscita della giornata. La maggior parte del comitato si aspettava probabilmente un invito a cena a Martingale. Inoltre Catherine le aveva scritto che il sabato della festa era uno dei suoi giorni liberi, chiedendole se sarebbe sembrata un'imposizione, qualora si fosse autoinvitata a quello che descriveva come «uno dei tuoi perfetti fine settimana, lontano dal rumore e dal sudiciume di questa terribile città». Non era la prima lettera di quel genere. Catherine era sempre molto più ansiosa di vedere i ragazzi, di quanto loro non lo fossero di veder lei. In certe circostanze questo sarebbe andato più che bene, ma per quanto Katie Bowers desiderasse di vedere accasata l'unica figlia Catherine, sarebbe stata comunque un'unione inadatta a Stephen. Katie stessa aveva fatto un matrimonio al di sotto delle sue possibilità. Christian Bowers era stato un artista con più talento che denaro, che non ambiva ad altro che al genio. La signora Maxie l'aveva incontrato una volta, e non le era piaciuto, ma contrariamente alla moglie lo reputava un artista. Aveva comprato uno dei suoi primi quadri per Martingale, un nudo coricato, che ora stava appeso nella sua stanza da letto, dandole una soddisfazione che la somma dell'ospitalità saltuaria concessa alla figlia non poteva ripagare. Per la signora Maxie era un oggetto istruttivo sulla follia di un matrimonio imprudente. Tuttavia, poiché il piacere che le dava era ancora vivo e reale, e visto che una volta era stata compagna di scuola di Katie Bowers, e conferiva una certa importanza ai doveri derivanti dal ricordo d'un vecchio sodalizio, sentiva che Catherine doveva essere ben accolta a Martingale, come ospite sua se non dei figli.

C'erano altre cose che la preoccupavano un po'. La signora Maxie non credeva di dover dare molto credito a quella che gli altri chiamano talora "atmosfera". Manteneva sempre la calma, facendo fronte con disarmante buon senso alle difficoltà troppo evidenti per essere ignorate, e ignorando semplicemente le altre.

Nondimeno accadevano ora a Martingale cose su cui era difficile sorvolare. Alcune naturalmente erano prevedibili. La signora Maxie, con tutta la sua insensibilità, non aveva potuto fare a meno di rendersi conto che Martha e Sally erano due compagne di cucina difficilmente compatibili, e che Martha avrebbe trovato la situazione difficile per un po'. Quello che non aveva previsto è che i rapporti andassero progressivamente peggiorando col passar del tempo. Certo, dopo tutta una serie di domestiche ignoranti e non professioniste, capitate a Martingale perché il lavoro domestico era la loro unica possibilità d'impiego, Sally sembrava un modello d'intelligenza, destrezza e raffinatezza. Le si poteva chiedere qualsiasi cosa, con la rassicurante certezza che sarebbe stata eseguita, mentre prima anche la raccomandazione più diligente e reiterata portava solo alla conclusione che era più semplice far da sé.

A Martingale sarebbe tornata una sensazione di benessere quasi pre-bellico, se non fosse stato per le cure più intense richieste ora da Simon Maxie. Il dottor Epps aveva già fatto presente che non potevano andare avanti a lungo, e che presto si sarebbe resa necessaria la presenza fissa di un'infermiera, o il ricovero ospedaliero. La signora Maxie rifiutava entrambe le ipotesi. La prima era troppo costosa, sconveniente e destinata probabilmente a durare un tempo indefinito. L'altra avrebbe significato che Simon Maxie sarebbe morto nelle mani d'un estraneo, invece che nella sua casa. La famiglia non poteva permettersi una infermiera a tempo pieno, o una clinica privata. Avrebbe significato un letto nell'ospedale locale per casi cronici, stile caserma, sovraffollato e carente di personale. Prima di arrivare a quest'ultimo stadio della malattia, Simon Maxie le aveva sussurrato: «Non lascerai che mi portino via, vero, Eleanor?», e lei aveva risposto: «Certo che no». Allora si era addormentato, sicuro di una promessa che entrambi sapevano non facile. Era un peccato che Martha avesse dimenticato così presto, apparentemente, l'eccesso di lavoro che c'era prima dell'arrivo di Sally. Il nuovo regime le aveva dato tempo ed energia per criticare ciò che prima aveva accettato con sorprendente facilità. Tuttavia non era ancora uscita allo scoperto. C'erano state allusioni velate, ma nessuna chiara lagnanza. Indubbiamente la tensione in cucina stava crescendo, pensò la signora Maxie, e dopo la festa avrebbe dovuto fronteggiarla. Ma non c'era fretta; mancava solo una settimana alla festa, e la preoccupazione principale era che riuscisse bene.

 

4

 

Il giovedì precedente la festa, Deborah passò la mattinata a far spese a Londra, pranzò con Felix Hearne al suo club, e il pomeriggio andò con lui a vedere un vecchio film di Hitchcock, in un cinema di Baker Street. Questo piacevole programma fu completato da un tè pomeridiano in un ristorante di Mayfair, che offriva un panorama fuori moda di ciò che dovrebbe costituire un adeguato spuntino pomeridiano. Saziatasi di sandwich al cetriolo e di glassati al cioccolato di produzione casalinga, Deborah rifletteva su quel pomeriggio, che si poteva considerare veramente riuscito, anche se un po' troppo casto per i gusti di Felix. Lui comunque l'aveva sopportato bene. C'erano dei vantaggi a non essere amanti. Se avessero avuto una relazione, sarebbe sembrato doveroso passare il pomeriggio insieme, nella sua casa di Greenwich, visto che un'unione irregolare e le possibilità che offre impongono convenzioni altrettanto rigide e costrittive di un matrimonio. E anche se fare l'amore sarebbe stato indubbiamente piacevole, la compagnia senza impegno che si erano goduti le sembrava preferibile.

Non voleva innamorarsi di nuovo. Mesi di tormento e disperazione l'avevano guarita da quella follia. Si era sposata giovane, e Edward Riscoe era morto di poliomielite neanche un anno dopo. Tuttavia un matrimonio basato sull'amicizia, gusti comuni e un reciproco scambio di piacere sessuale le sembrava una base ragionevole su cui vivere, raggiungibile senza disturbanti eccessi sentimentali. Felix, pensava, era abbastanza innamorato da diventare interessante senza essere fastidioso, e lei era solo spasmodicamente tentata di prendere seriamente in considerazione la probabile offerta di matrimonio. Cominciava nondimeno ad apparire un po' strano che questa proposta non venisse. Non era certo che non gli piacessero le donne, questo lo sapeva. I suoi amici lo consideravano uno scapolo impenitente, un eccentrico, lievemente pedante e che non faceva altro che divertirsi. Avrebbero potuto essere anche più duri; restava comunque da spiegare il suo curriculum di guerra. Un uomo non poteva nello stesso tempo essere effemminato o stupido e avere avuto medaglie dai francesi e dagli inglesi per il suo ruolo nel movimento di Resistenza. Era uno di quelli il cui coraggio fisico, la più rispettabile e affascinante delle virtù, era stato messo alla prova nelle celle di punizione della Gestapo, e non poteva più essere cancellato. Ora era un po' passato di moda pensare a quelle cose, ma non erano ancora state dimenticate del tutto. Cosa avessero fatto quei mesi in Francia a Felix Hearne, nessuno lo poteva sapere, ma giustificavano le sue eccentricità, e probabilmente se ne approfittava. Piaceva a Deborah, perché era intelligente e divertente, e il più ameno pettegolo che avesse mai conosciuto. Aveva l'attenzione d'una donna per i piccoli avvenimenti della vita, un interesse intuitivo per le minuzie delle relazioni umane. Nulla era troppo banale per lui, e ora sedeva ascoltando con tutte le apparenze d'una divertita simpatia il resoconto di Deborah su Martingale.

«Perché, vedi, è delizioso avere di nuovo del tempo libero, ma non penso possa durare. Martha farà sì che se ne vada per tempo. Non gliene faccio una colpa. Non può vedere Sally, e io nemmeno.»

«Perché? Sta forse dietro a Stephen?»

«Non essere volgare, Felix. Potresti concedermi il beneficio di un motivo più sottile di questo. Di fatto, però, sembra averlo colpito, e penso premeditatamente. Gli chiede consigli per il bambino ogni volta che è a casa, nonostante mi sia provata a far notare che lui dovrebbe essere un chirurgo, e non un pediatra. Martha poi non può azzardare una parola di critica, che subito lui corre in sua difesa. Vedrai tu stesso, quando vieni, sabato.»

«Chi ci sarà, oltre a quest'intrigante che è Sally Jupp?»

«Stephen naturalmente. E Catherine Bowers. L'hai vista l'ultima volta che eri a Martingale.»

«Proprio così. Ha un po' degli occhi a uovo affogato, ma l'aspetto è piacevole, e ha più cervello di quanto tu e Stephen non vogliate concederle.»

«Se ti è piaciuta tanto» ribatté Deborah facilmente «puoi dimostrarle la tua ammirazione questo fine settimana, dando respiro a Stephen. Era piuttosto innamorato di lei una volta, e ora gli si attacca come un mollusco, e lo infastidisce terribilmente.»

«Come sono incredibilmente impietose le belle donne, nei confronti di quelle più modeste. Per "piuttosto innamorato", poi, immagino che tu intenda dire che Stephen l'ha sedotta. Beh, questo di solito comporta delle complicazioni, e lui deve trovare il modo di sbrogliarsela da solo, come altri più uomini hanno fatto prima di lui. In ogni caso verrò. Martingale mi piace, e apprezzo la buona cucina. E poi ho la sensazione che sarà un fine settimana interessante. Una casa stipata di gente che si detesta vicendevolmente, rischia di essere una vera polveriera.»

«Oh, la faccenda non è così grave!»

«Ci va molto vicino. Stephen non mi ama. Non ha mai fatto nulla per nasconderlo. Tu non sopporti Catherine Bowers. Lei non ama te, ed estenderà sicuramente a me tale sentimento. Tu e Martha detestate Sally Jupp, e lei, povera ragazza, probabilmente vi detesta tutti quanti. Quella patetica creatura poi, che è la signorina Liddell, non mancherà, e tua madre non l'ha certo a cuore. Sarà una perfetta orgia di sentimenti repressi.»

«Non sei obbligato a venire. In effetti, penso che sarebbe meglio se tu non venissi.»

«Ma, Deborah, tua madre me l'ha già chiesto, e ho accettato. Le ho scritto la settimana scorsa, nel mio aggraziato modo formale, come al solito. E ora aggiungerò una nota nel mio libriccino nero, per fissare l'appuntamento in modo certo.» Chinò la testa, bionda e levigata, sulla sua agendina. Il viso, slavato, che rendeva quasi invisibile la riga dei capelli, era girato dall'altra parte, e le restava nascosto. Deborah notò come fossero rade le sopracciglia contro la fronte smunta, nell'intrico di pieghe e rughe che gli circondavano gli occhi. Pensò che doveva avere belle mani, prima che la Gestapo ci si sbizzarrisse sopra. Le unghie non erano mai ricresciute completamente. Tentò di figurarsi quelle mani che si districavano nei meandri di una pistola, si aggrappavano alle corde d'un paracadute, si serravano in atto di sfida o resistenza. Era inutile. Sembrava mancare ogni nesso tra quel Felix che apparentemente aveva conosciuto una causa per cui valeva la pena soffrire, e il Felix Hearne accomodante, sofisticato e sardonico, della Casa Editrice Hearne & Illingworth, così come non ve n'era alcuno tra la ragazza che aveva sposato Edward Riscoe e la donna che era diventata. Di colpo Deborah provò ancora quel malessere familiare, fatto di nostalgia e rimpianto. In questo stato d'animo osservò Felix che scriveva sotto la data di sabato, con la sua calligrafia meticolosa e indecifrabile, come se stesse fissando un appuntamento con la morte.

 

5

 

Dopo il tè, Deborah decise di far visita a Stephen, un po' per evitare la folla delle ore di punta, ma, soprattutto, perché raramente veniva a Londra senza contattare l'ospedale St. Luke. Aveva chiesto a Felix di accompagnarla, ma lui si era scusato, dicendo che l'odore dei disinfettanti lo faceva star male, e l'aveva accompagnata al taxi, ringraziandola formalmente per la compagnia. In queste cose era un po' cerimonioso. Deborah lottò contro il sospetto poco lusinghiero che si fosse stancato della sua conversazione, e fosse contento di vederla partire su un mezzo confortevole e veloce, e si concentrò sul piacere di vedere Stephen. Fu perciò completamente sconcertata dal non trovarlo in ospedale. Era una cosa del tutto insolita. Colley, il portiere, le spiegò che il signor Maxie aveva ricevuto una telefonata, ed era uscito per incontrare qualcuno, dicendo che non sarebbe stato fuori molto. Il signor Donwell lo sostituiva temporaneamente in servizio, ma comunque il signor Maxie non avrebbe tardato. Era fuori da quasi un'ora. Forse la signora Riscoe desiderava salire nella sala degli interni. Deborah si fermò qualche minuto a chiacchierare con Colley, che le era simpatico, poi prese l'ascensore per il quarto piano. Il signor Donwell, un giovane segretario timido e foruncoloso, farfugliò un saluto, e batté rapidamente in ritirata nelle corsie, lasciandola sola con quattro poltrone bacate, un disordinato mucchio di periodici di medicina, e gli avanzi semisbaraccati del tè degli interni. Ne risultava che avevano mangiato delle paste e, come al solito, che qualcuno aveva usato un piattino come portacenere. Deborah cominciò ad ammonticchiare i piatti, ma, resasi conto che l'attività era senza sbocco, visto che non sapeva poi che farne, prese uno dei giornali e si accostò alla finestra dove poteva dividere il suo tempo tra l'attesa di Stephen e la rapida scorsa degli articoli medici più interessanti o comprensibili. Dalla finestra si vedeva, più lontano sulla strada, l'entrata principale dell'ospedale. In lontananza poteva discernere l'ansa del fiume che luccicava, e le torri di Westminster. Il brusio ininterrotto del traffico giungeva come ovattato, un sottofondo discreto ai rumori intermittenti dell'ospedale: il suono metallico delle porte dell'ascensore, la suoneria del telefono, i passi svelti lungo il corridoio. Dall'alto di quattro piani, le figure in basso apparivano curiosamente di scorcio. La porta dell'ambulanza si schiuse senza rumore, e questa scivolò via silenziosamente. Improvvisamente li vide. Il primo che riconobbe fu Stephen, ma quella testa rosso dorata che fiammeggiava all'altezza della sua spalla era inconfondibile. Si erano fermati sull'angolo del palazzo, e sembravano parlottare. La testa nera era china su quella dorata. Dopo un attimo lo vide stringerle le mani, poi Sally si voltò in pieno sole e prese a camminare velocemente, allontanandosi senza rivolgere uno sguardo alle spalle. Deborah non aveva perso un particolare. Sally portava un vestito grigio. Era un prodotto industriale, comprato già confezionato, ma le calzava bene, e metteva in risalto la sua splendida cascata di capelli, liberi ora dell'impedimento della cuffietta e degli spilli.

 

Era intelligente, pensò Deborah. Intelligente a capire che bisognava vestire in modo semplice per portare i capelli sciolti a quella maniera. Intelligente nell'evitare il verde, colore prediletto di tante rosse. Abile nell'aver deciso di salutare Stephen fuori dall'ospedale, resistendo all'invito sicuramente ricevuto a cenare in ospedale, con le sue inevitabili possibilità d'imbarazzo e pentimento. Poi Deborah si stupì di aver prestato tanta attenzione a ciò che indossava Sally. Era come se per la prima volta l'avesse vista attraverso gli occhi di Stephen, e vederla la spaventava. Le sembrò che fosse passato molto tempo prima di udire il ronzio dell'ascensore, e i suoi passi veloci nel corridoio; poi le fu accanto. Non si mosse dalla finestra, così che lui potesse capire all'istante che aveva visto tutto. Sentiva che non avrebbe potuto sopportare che non gliene parlasse, e così era più facile. Non sapeva bene cosa s'aspettava, ma quando lui parlò fu una sorpresa.

«Hai mai visto queste prima?» le chiese.

Nel suo palmo aperto stava un rozzo contenitore ricavato da un fazzoletto da uomo annodato agli angoli. Stephen lo sollevò, prendendolo per uno dei nodi, e con un colpetto ne fece uscire tre o quattro piccole compresse. Il loro colore, grigio-marrone, era inconfondibile.

«Non sono le compresse di papà, queste?» Sembrava che la volesse accusare di qualcosa. «Dove le hai prese?»

«Le ha trovate Sally, e me le ha portate. Immagino che tu ci abbia visti dalla finestra.»

«E cosa ha fatto del bambino?» La domanda, sciocca e irrilevante, le uscì prima che potesse pensarci.

«Il bambino? Ah, Jimmy, non so. L'avrà lasciato a qualcuno in paese, oppure a mamma, o a Martha. È venuta a portarmi queste, e mi ha telefonato da Liverpool Street per chiedermi di incontrarci. Le ha trovate nel letto di papà.»

«Ma dove, nel suo letto?»

«Tra la fodera e il materasso, di fianco. La traversa era arricciata, e lei stava appianandola e rimboccando la plastica, quando ha notato una piccola protuberanza su un angolo del materasso, sotto la fodera rincalzata. Ed ha trovato questo. Papà deve averle conservate per diverse settimane, forse per dei mesi. Posso anche indovinarne la ragione.»

«Lo sa lui, che le ha trovate?»

«Sally pensa di no. Stava coricato sul fianco, con la faccia girata dall'altra parte, mentre lei sistemava la traversa. Lei ha semplicemente messo il fazzoletto e le compresse in tasca, continuando le sue faccende come se niente fosse. Certo possono essere rimaste lì a lungo - è stato in cura col Sommeil per diciotto mesi, o anche più - e può averle dimenticate. Può aver smarrito la facoltà di raggiungerle e di servirsene. Non possiamo dire cosa gli passa per la testa. Il guaio è che non ci siamo nemmeno presi la briga di tentare. Salvo Sally.»

«Ma Stephen, questo non è vero. Noi ci proviamo. Sediamo vicino a lui, lo assistiamo, tentiamo di fargli sentire la nostra presenza. Ma lui non fa che stare disteso lì, senza muoversi, senza parlare o dare il minimo segno di accorgersi più della gente che gli sta intorno. Non è più veramente papà. Non c'è nessun contatto tra noi. Io ho provato, giuro che l'ho fatto, ma è inutile. Non può aver pensato sul serio di prendere quelle compresse. Non riesco neanche ad immaginare come sia riuscito a raccoglierle, a progettare una cosa simile.»

«Quando è il tuo turno di dargli le compresse, lo guardi mentre le inghiotte?»

«No, non proprio. Sai come detestava che lo aiutassimo troppo. Ora non credo che gli importi, comunque gli diamo lo stesso le compresse, gli versiamo l'acqua, e gliela accostiamo alle labbra, quando sembra che la voglia. Deve averle nascoste mesi fa. Non credo che ci riuscirebbe ora, non senza che se ne accorga Martha. Il più delle volte è lei a pulirlo e a sobbarcarsi le cure più pesanti.»

«Beh, apparentemente è riuscito ad ingannare Martha. Ma io, mio Dio, Deborah, io avrei dovuto immaginarlo, saperlo. E penso di essere un dottore. Queste sono le cose che mi fanno sentire un falegname specializzato, bravo abbastanza per tagliuzzare i pazienti, fino a che non mi si richiede di considerarli come persone. Almeno Sally l'ha trattato da essere umano.»

Deborah fu tentata di precisare che lei, la mamma e Martha, procuravano perlomeno di mantenere Simon Maxie in uno stato confortevole, pulito e nutrito, e non senza fatica; che era dunque difficile vedere dove Sally avesse fatto qualcosa di più. Ma Stephen aveva bisogno di indulgere al rimorso, e c'era poco da guadagnare a fermarlo. Di solito poi si sentiva meglio, anche se faceva star peggio gli altri. Lo osservò in silenzio, mentre rovistava nel cassetto della scrivania e, trovata una boccetta vuota di aspirina, contava accuratamente le compresse - ce n'erano dieci - e etichettava la boccetta col nome e la quantità della sostanza. Erano i gesti quasi automatici di un uomo abituato a conservare le medicine correttamente contrassegnate. La testa di Deborah era affollata da una serie di domande che non osava fare. "Perché Sally è venuta da te? Perché non da mamma? Ha veramente trovato quelle compresse, o è stato solo uno stratagemma per vederti da solo? Ma deve averle trovate. Nessuno può inventare una storia del genere. Povero papà. Cosa ha detto Sally? Ma perché mi importa tanto questa faccenda di Sally? La odio, perché lei ha un bambino e io no. L'ho detto ora, ma ammetterlo non aiuta molto. E quella borsa col fazzoletto? Deve essergli costata ore di fatica. Sembrava il lavoro di un bambino. Povero papà. Era così alto, quand'ero bambina. Mi incuteva davvero un po' di timore? Oh Dio, aiutami a provare pietà, ti prego. Voglio provar dispiacere per lui. Cosa starà pensando ora Sally? Cosa le avrà detto Stephen?"

Stephen tornò dalla scrivania, e le porse la boccetta.

«Penso che sarebbe meglio se la portassi a casa. Mettila nell'armadio delle medicine, in camera sua. Non dire niente a mamma o al dottor Epps, per ora. Penso però che sarebbe opportuno interrompere con le compresse a papà. Ti procurerò una ricetta compilata in ambulatorio prima che tu parta, lo stesso tipo di sostanza, solo in polvere. Dagliene un cucchiaio pieno sciolto nell'acqua, prima di dormire. Sarebbe meglio che lo facessi tu. Di' solo a Martha che ho sospeso le compresse. Quando lo rivedrà il dottor Epps?»

«Viene dopo cena con la signorina Liddell, per vedere la mamma. Penso che potrebbe volerlo visitare, ma non credo che chiederà delle compresse. È tanto tempo ormai che le usiamo. Gli diciamo soltanto quando la boccetta sta per terminare, e lui ci dà una nuova ricetta.»

«Sai quante compresse ci sono in casa ora?»

«C'è una boccetta nuova, non ancora aperta. Dovevamo cominciarla stanotte.»

«Allora lasciatela nell'armadio, e dategli la medicina. Ne potrò parlare a Eppy sabato, quando lo vedrò. Domani notte arriverò tardi. Sarebbe più prudente che tu venissi subito in ambulatorio con me, e poi andassi direttamente a casa. Telefonerò io a Martha di tenerti qualcosa in caldo per cena.»

«D'accordo Stephen.» Deborah non rimpiangeva la cena. Il piacere della giornata era ormai svanito. Era dunque tempo che rincasasse.

«Credo che sarebbe bene, anche, che tu non dicessi niente di tutto questo a Sally.»

«Non ne avevo la minima intenzione. Spero solo che sia capace di altrettanta discrezione. Non vogliamo che questa storia faccia il giro del paese.»

«Questo è ingiusto, Deborah, e non ci credi neanche tu. Non potremmo avere nessuno di più fidato di Sally. È stata molto giudiziosa in questa faccenda, e anche piuttosto gentile.»

«Non ne dubito.»

«Era semplicemente preoccupata della cosa. È molto affezionata a papà.»

«Sembra che estenda il suo attaccamento anche a te.»

«Cosa diavolo intendi dire?»

«Mi chiedevo perché mai non ha parlato alla mamma delle compresse, o a me.»

«Non avete fatto molto per incoraggiare la sua confidenza, non ti sembra?»

«Cosa diavolo vorresti che facessi? Che le tendessi la mano? Finché fa bene il suo mestiere, non mi interessa particolarmente. Non mi piace, e non mi aspetto di esserle simpatica.»

«Non è vero che non ti è simpatica» disse Stephen. «Tu la detesti.»

«Si è forse lamentata di come la trattiamo?»

«Naturalmente no. Sii un po' più umana, Deb. Questo non è da te.»

"Non è da me?" pensò Deborah. "Come fa a sapere come sono fatta?" Ma riconobbe nelle ultime parole di Stephen un appiglio alla riconciliazione e, tesagli la mano, disse: «Mi dispiace. Non so cosa mi succede ultimamente. Sono sicura che Sally ha fatto ciò che riteneva più giusto. Non vale, comunque, la pena di litigare per questo. Vuoi che ti aspetti, domani sera? Felix non potrà venire prima di sabato mattina, ma Catherine è attesa a cena».

«Non ti preoccupare. Forse dovrò prendere l'ultimo autobus. Ma verrò a cavalcare con te prima di colazione, se mi chiami.»

Il senso di quest'offerta formale, in sostituzione d'una routine ormai felicemente stabilita, non sfuggì a Deborah. L'abisso apertosi tra loro era stato colmato in modo molto precario. Capiva che anche Stephen era a disagio, sentendo il ghiaccio scricchiolare sotto i loro piedi. Mai, dalla morte di Edward Riscoe, si era sentita così distante da Stephen; e mai come adesso aveva avuto bisogno di lui.

 

6

 

Erano quasi le sette e mezza, prima che Martha sentisse il rumore che attendeva, il cigolio delle ruote della carrozzina sul viale. Jimmy piagnucolava sommessamente, trattenuto probabilmente dallo strillare apertamente solo dal soporifero rollio della carrozzina, accompagnato dalle rassicuranti moine della madre. Presto si vide la testa di Sally traversare la finestra della cucina, la carrozzella fu fatta scivolare nel retrocucina, e subito apparvero alla porta della cucina la madre e il bambino. Un insieme di emozioni represse sembrava colmare la ragazza, che appariva ad un tempo nervosa e compiaciuta di sé. Martha non credeva che un pomeriggio speso a scarrozzare Jimmy nella foresta, potesse spiegare quell'aria di piacere segreto e trionfante.

«Avete fatto tardi» disse. «Suppongo che il bambino starà morendo dalla fame, povero piccino.»

«Beh, non dovrà aspettare ancora molto, vero piccolo mio? Immagino che non ci sia il latte bollito, vero?»

«Non sono qui per servir voi, Sally, fatemi il piacere di ricordarlo. Se volete il latte, ve lo dovete bollire da voi. Sapete abbastanza bene quando va nutrito il bambino.»

Non parlarono più, mentre Sally bolliva il latte e provava, senza grandi risultati, a farlo raffreddare rapidamente, tenendo Jimmy con un braccio solo. Fu solo quando Sally era pronta a portare il figlio di sopra, che Martha parlò.

«Sally,» disse «avete preso qualcosa dal letto del padrone, quando l'avete fatto, stamattina? Qualcosa che gli apparteneva? Voglio la verità adesso!»

«È chiaro dal vostro tono che lo sapete. Volete dire che sapevate che aveva quelle compresse nascoste? E che non avete detto nulla?»

«Certo che lo sapevo. L'ho curato per cinque anni, non è forse vero? Chi altro può sapere cosa fa, cosa sente? Immagino che avrete pensato che le avrebbe prese. Bene, questo non doveva preoccuparvi. Forse che sono affari vostri, comunque? Se foste stata costretta voi in quel letto, anno dopo anno, forse vi avrebbe fatto piacere di sapere che c'era qualcosa, magari un paio di piccole compresse, con cui porre fine alla stanchezza e alla sofferenza. Qualcosa di cui nessuno sapeva niente, finché una stupida piccola sgualdrina, non meglio di quanto dovrebbe essere, non è venuta a tirarla fuori. Siete stata molto intelligente, non è vero? Solo che lui non le avrebbe prese! È un signore, lui. Ma neanche questo voi potete capirlo. Però potete restituirmi le compresse. E se fate cenno di dir parola ad alcuno, o di allungare la mano su qualsiasi altra cosa appartenente al padrone, vi farò cacciare. Voi e il vostro marmocchio. Troverò un modo, non temete!»

Tese la mano verso Sally. Non aveva alzato la voce neanche un istante, ma la sua calma autorità faceva più paura dell'ira, e la voce della ragazza era velata d'isterismo nel risponderle.

«Temo che non abbiate fortuna. Non ho più le compresse. Le ho portate a Stephen questo pomeriggio. Sì, Stephen! E ora che ho sentito le vostre insulse ciarle, sono contenta d'averlo fatto. Cara, fedele, vecchia Martha! Così affezionata alla famiglia! Non ve ne importa un fico di nessuno di loro, vecchia ipocrita, solo del vostro prezioso padrone v'importa! Peccato che non possiate vedervi! Mentre lo lavate, lo accarezzate, tubate con lui come se fosse il vostro bambino. Avrei potuto riderne talvolta, se non fosse uno spettacolo così pietoso. È indecente! Buon per lui che è mezzo rimbambito! Essere maneggiato da voi, renderebbe malato qualsiasi uomo!»

Si fece scivolare il bambino sul fianco, e Martha udì la porta chiudersi dietro di lei.

Martha barcollò fino all'acquaio, e lo afferrò con mani tremanti. Era preda di convulsioni fisiche che le provocavano conati di vomito, ma il suo corpo non trovò sfogo alla nausea. Si portò la mano alla fronte, con un gesto di pietrificata disperazione. Guardandosi le dita, vide che erano bagnate di sudore. Mentre lottava per il controllo, l'eco di quella voce stridula e infantile le rintronava la testa. "Essere maneggiato da voi, renderebbe malato qualsiasi uomo... essere maneggiato da voi... maneggiato." Quando i tremiti furono cessati, la nausea cedette il posto all'odio. La sua mente trovava conforto al tormento in dolci immagini di vendetta. Si abbandonò a fantasie su Sally ormai caduta in disgrazia, che veniva bandita da Martingale col suo bambino, che veniva smascherata per quello che era, bugiarda, viziosa e malvagia. E, poiché tutto è possibile, su Sally morta.

 

7

 

Il volubile clima estivo che, nelle ultime settimane, aveva fornito un saggio di tutte le condizioni climatiche tipiche della regione, facendo eccezione solo per la neve, si era stabilizzato sulla grigia normalità costituita, per quella stagione, da un tempo moderatamente caldo. C'era dunque la possibilità che la festa potesse fruire di un tempo asciutto, se non proprio di un sole pieno. Deborah, indossando i calzoni da equitazione, per la sua cavalcata mattutina con Stephen, poteva vedere dalla sua finestra la grande tenda rossa e bianca e, disseminati sul prato, gli scheletri d'una dozzina di chioschi impiantati a mezzo, che aspettavano solo l'ultimo tocco decorativo della carta crespata e delle bandiere britanniche. Nel giardino di casa era già stato cintato un pezzo di terreno, per gli sport dei bambini e la festa danzante. Una vecchia automobile, sormontata da un altoparlante, era parcheggiata sotto un olmo, in fondo al prato, e diversi metri di filo svolto sui sentieri o teso tra gli alberi, testimoniavano gli sforzi degli appassionati del luogo, sforniti di radio, di procurarsi un sistema di altoparlanti per la musica e gli annunci. Deborah, dopo una buona notte di riposo, poteva seguire i preparativi con relativo stoicismo. Sapeva per esperienza, infatti, che uno spettacolo ben diverso l'attendeva a festa conclusa. Per quanto la gente cercasse di far attenzione - e molti cominciavano a divertirsi solo quando si vedevano circondati dal familiare strato di pacchetti di sigarette e bucce di frutta -, occorreva almeno una settimana prima che il giardino riacquistasse la sua bellezza, momentaneamente deturpata. Già le file di bandierine, tese da un lato all'altro dei verdi viali, davano al boschetto un'aria di insolita frivolezza, e le cornacchie sembravano disturbate dal frastuono, più forte del consueto.

Il sogno prediletto, ad occhi aperti, di Catherine, per la festa di Martingale, prevedeva che lei la passasse ad aiutare Stephen coi cavalli, al centro dell'attenzione rispettosa e interessata di un gruppo di paesani di Chadfleet. Catherine aveva un concetto un po' pittoresco e antiquato dell'importanza del ruolo rivestito dai Maxie nella loro comunità. Queste felici fantasie svanirono di fronte alla determinazione della signora Maxie, che ciascuno dei suoi ospiti aiutasse dove poteva essere più utile. Per Catherine questo voleva semplicemente dire stare con Deborah al chiosco dell'elefante bianco. Svanita la momentanea delusione, fu una vera sorpresa constatare quanto quell'esperienza era piacevole. Passò la mattina selezionando, esaminando e stabilendo i prezzi di un eterogeneo ammasso di roba, che andava ancora messa in ordine. Deborah dimostrava una competenza straordinaria, maturata da una lunga esperienza, circa la provenienza dei vestiti, il loro valore e il tipo di acquirente a cui erano adatti. Reynold Price aveva donato per l'occasione un cappotto a pelo lungo, con una fodera impermeabile che si poteva levare, e fu subito messo da parte, ad uso esclusivo del dottor Epps. Era proprio quello che gli serviva per le sue visite invernali, con la sua macchina aperta; dopotutto nessuno avrebbe badato a ciò che portava mentre guidava. C'era poi un vecchio cappello di feltro, che apparteneva appunto al dottore, la cui distrazione quotidiana ne provocava lo smarrimento, solo per rendere possibile al proprietario adirato di ricomprarlo ogni anno. Era stato contrassegnato col prezzo di sei penny, e messo ben in evidenza. C'erano poi dei maglioni fatti a mano, di foggia del tutto anomala, piccoli oggetti colorati d'ottone e porcellana, presi dai caminetti del paese, fasci di libri e riviste, e un'affascinante collezione di stampe pesantemente incorniciate, targhettate con piastrine di rame simili a ragni. C'era «La prima lettera d'amore», «Il tesoro di papà», una coppia di stampe gemelle intitolate «La lite» e «Riconciliazione», e ce n'erano diverse che mostravano soldati, ora nell'atto di dare alla moglie il bacio della partenza, ora intenti al più casto piacere d'una riunione conviviale. Deborah predisse che sarebbero andate a ruba, e dichiarò che le cornici da sole valevano mezza corona.

Per l'una in punto i preparativi erano conclusi, e la famiglia, servita da Sally, ebbe il tempo di consumare un rapido pasto. Catherine ricordò che c'erano state delle questioni con Martha, quella mattina, perché la ragazza aveva dormito più del dovuto. Probabilmente aveva corso per recuperare il tempo perduto, pensò Catherine, perché aveva l'aria accaldata e nascondeva dell'agitazione, sotto la maschera di una docile efficienza. Il pranzo, tuttavia, trascorse abbastanza allegramente, visto che la compagnia era unita da una preoccupazione comune, e dal lavoro svolto insieme. Alle due arrivarono il vescovo e la moglie; il comitato era uscito dal salotto, si era disposto nelle sedie preparate a cerchio, e la festa era stata formalmente inaugurata. Nonostante fosse un vescovo a riposo, vecchio, non era senile, ed il suo breve discorso era stato un modello di grazia e semplicità. Quando la voce dolce del vecchio era giunta a Catherine, attraverso il prato, aveva pensato per la prima volta alla chiesa con interesse e affetto. Là c'era il fonte battesimale normanno, dove lei e Stephen avrebbero battezzato i loro figli, le navate dove erano commemorati i suoi avi. Lì le figurine inginocchiate del diciottesimo secolo, d'uno Stephen Maxie e d'una Deborah, sua moglie, si fronteggiavano, fissate per sempre nella pietra, con le mani sottili curvate in atto di preghiera. Lì c'erano i secolari busti decorati, riproducenti i Maxie del diciottesimo secolo, e le targhe ricordo che parlavano con semplicità dei figli uccisi a Gallipoli e sulla Marne. Catherine aveva pensato spesso che era meglio che le esequie della famiglia si fossero fatte sempre meno complicate, visto che la chiesa di St. Cedd, con St. Mary the Virgin a Chadfleet, erano diventate, più che luoghi di culto, l'ossario privato dei Maxie. Quel giorno, esultante e piena di fiducia in se stessa, poteva pensare a tutta la famiglia, i morti e i vivi, senza trovare nulla da criticare; anche un dossale barocco, non le sarebbe sembrato nulla più che un loro diritto.

 

Deborah prese posto con Catherine dietro il banco del loro chiosco, e i clienti cominciarono ad affluire, cercando con circospezione la possibilità di qualche buon affare. Si trattava di una delle attrazioni più popolari, ed il traffico era animato. Il dottor Epps arrivò presto, per il suo cappello, e si fece persuadere facilmente a comperare il cappotto del signor Reynold per una sterlina. Gli indumenti e le scarpe andarono in un lampo, comperati in genere proprio dalle persone previste da Deborah, mentre Catherine era impegnata a smistare i ricambi e a riempire il banco con le riserve prese da una grande scatola sotto la cassa. Dal cancello del viale continuarono ad entrare per tutto il pomeriggio piccole comitive, con bambini la cui faccia era tesa nella fissità d'un sorriso innaturale, destinato a catturare il premio promesso da un fotografo al bambino dall'aspetto più felice che fosse entrato quel pomeriggio nel giardino. L'altoparlante superò ogni speranza, emettendo un profluvio di marce di Sousa e walzer di Strauss, di annunci di tè e competizioni, insieme a qualche ammonimento a usare i cestini della spazzatura e a tenere il giardino pulito. La signorina Liddell e la signorina Pollack, aiutate dalla più semplice, vecchia e fidata delle loro ragazze delinquenti, facevano la spola da St. Mary alla festa, tornando indietro ogni qualvolta un dovere o una coscienza le richiamavano. Il loro chiosco era di gran lunga il più caro, e l'esposizione della biancheria intima fatta a mano risentiva di un infelice compromesso tra le esigenze estetiche e la rispettabilità. Il parroco, coi suoi soffici capelli bianchi fatti radi dall'uso del pettine, sorrideva felicemente ai fedeli, che si mostravano una volta tanto in pace col mondo e con se stessi. Il signor Reynold arrivò tardi, e si mostrò volubile, condiscendente e generoso. Dal prato del tè giungeva l'eco delle fervide esortazioni della signorina Cope e della signorina Nelson, che, con l'aiuto dei ragazzi della scuola di catechismo, si affaccendavano con i tavoli da bridge, le sedie del municipio e le tovaglie assortite, tutta roba che doveva trovare possibilmente la via del ritorno ai rispettivi padroni. Felix Hearne sembrava divertirsi come un soldato mercenario. Fece la sua comparsa una o due volte per aiutare Deborah o Catherine, ma poi dichiarò che se la passava meglio assai con la signorina Liddell e la signorina Pollack. Stephen capitò una volta ad informarsi degli affari. Per essere uno che abitualmente parlava di quella festa come della «Maledizione dei Maxie», sembrava ben felice. Appena passate le quattro, Deborah andò in casa a vedere se suo padre aveva bisogno di cure, lasciando Catherine di servizio. Tornò dopo mezz'ora circa, e suggerì di andare in cerca del tè. Lo servivano nella più larga delle due tende e i ritardatari, l'avvertì Deborah, venivano accolti con bevande blande e torte poco invitanti. Felix Hearne, che si era fermato al chiosco per chiacchierare e valutare la merce rimasta, fu inviato a tener loro il posto, mentre Deborah e Catherine andavano in casa a lavarsi. Attraversando l'anticamera si incontravano sempre una o due persone, o perché queste avevano pensato di accorciare la strada, o perché, estranei al paese, pensavano che il buono d'entrata includesse il libero accesso alla casa. Deborah sembrava indifferente al fatto. «C'è Bob Gittings, il nostro poliziotto locale, che sorveglia la roba in salotto» spiegò. «E la sala da pranzo è chiusa. Succede sempre così, ma non è mai stato portato via ancora niente. Ora andremo alla porta sud, e useremo il bagno piccolo. È più sbrigativo.» Ciò nonostante fu egualmente sconcertante quando un uomo le sfiorò sulle scale di servizio, borbottando affrettatamente una scusa. Si fermarono, e Deborah gli gridò dietro: «Cercavate qualcuno? Questa è una casa privata». Si girò, e le guardò; era un uomo magro e nervoso, coi capelli grigi spinti indietro da un'ampia fronte e una bocca sottile, che allargò in un sorriso accattivante. «Oh, mi spiace. Non me n'ero accorto. Scusate. Cercavo il bagno.» Non era una voce gradevole. «Se intendete il gabinetto,» rispose brusca Deborah «ce n'è uno in giardino. Mi sembrava che fosse ben segnalato.» L'uomo arrossì, farfugliò qualche risposta, e scomparve. Deborah scrollò le spalle. «Che coniglio spaurito! Non penso facesse nulla di male. Ma preferirei che non entrassero in casa.» Catherine formulò mentalmente il proposito di fare in modo che avvenisse proprio così, quando fosse toccato a lei sovrintendere alle attività di Martingale.

 

Il tendone dove servivano il tè era certamente affollato, e l'acciottolio confuso delle terraglie, il brusio delle voci e il fischio delle teiere si sovrapponevano al sottofondo musicale trasmesso dagli altoparlanti, che giungeva attutito dal telo. I tavoli erano stati decorati dai ragazzi della scuola di catechismo, nell'ambito della loro competizione per il miglior allestimento con fiori selvatici. Ogni tavolo portava il suo barattolo di marmellata, con etichetta, e la messe di papaveri, acetose, rose canine, ravvivata dalla permanenza di ore in mani calde, aveva preso una bellezza delicata e inconsapevole, nonostante il profumo si fosse perso nell'acre odore di erba pestata, del telo caldo e del cibo. La densità del rumore era tale che un improvviso calo del brusio delle voci fece a Catherine l'effetto di un silenzio assoluto. Ci mise un po' a rendersi conto che non tutti avevano smesso di parlare, e non tutte le teste si erano voltate verso l'altra porta, di dove era entrata Sally: Sally vestita di bianco, con una lunga scollatura a "v" ed una gonna a pieghe fitte; Sally con una sciarpa verde al collo che si intonava a quella legata in vita e agli orecchini verdi che luccicavano a lato delle guance rosse. Catherine si sentì avvampare le gote, e non poté trattenersi dal lanciare una rapida occhiata interrogativa a Deborah. Non era l'unica, del resto. Un numero sempre maggiore di teste si stava voltando dai vari tavoli verso di loro. Dal lato opposto del tendone, dove alcune delle ragazze della signorina Liddell stavano prendendo il tè, sotto la sorveglianza della signorina Pollack, giunse una risatina subito soffocata. Qualcuno disse a bassa voce, ma non abbastanza: «La buona vecchia Sal.» Solo Deborah sembrava indifferente. Senza degnarla d'un secondo sguardo, si diresse alla cassa dei tavoli a cavalletto, e chiese pacatamente del tè per due, un piatto con pane e burro, e uno di pasticcini. La signorina Pardy versò con frettoloso imbarazzo il tè nelle tazze, e Catherine seguì Deborah ad uno dei tavoli liberi, tenendo il piatto dei pasticcini, conscia di essere lei ad apparire ridicola.

«Come osa?» mormorò, chinando la faccia accaldata sulla tazza. «È un insulto deliberato.» Deborah scosse leggermente le spalle. «Oh, non lo so. Che importa? Probabilmente, quel povero demonietto sta già scontando il suo gesto, e comunque non mi disturba.»

«Ma dove ha preso quel vestito?»

«Dove l'ho preso io, immagino. C'è dentro il nome. Non è un modello esclusivo, o niente di simile. Chiunque si fosse dato pena di cercarlo, poteva comperarlo. Sally deve aver pensato che ne valeva la pena.»

«Non poteva sapere, però, che l'avresti indossato oggi.»

«Ogni altra occasione sarebbe stata buona, suppongo. Devi proprio continuare?»

«Non riesco a capire come tu possa prenderla con tanta calma. Io non riuscirei.»

«Cosa vorresti che facessi? Che andassi a strapparglielo di dosso? C'è un limite agli spettacoli gratuiti a cui il paese ha diritto.»

«Mi domando cosa dirà Stephen» disse Catherine.

Deborah sembrò sorpresa.

«Dubito che se ne accorga nemmeno; penserà a come le sta bene. È più adatto a lei che a me. Ti vanno bene quelle paste, o preferiresti far provviste di sandwich?» Catherine, invitata a non proseguire la discussione, si concentrò sul tè.

 

8

 

Il pomeriggio scivolò via veloce. Dopo la scena avvenuta nel tendone del tè, tutto il divertimento di Catherine era svanito, e il resto della vendita di beneficenza si ridusse a poco più di un faticoso lavoro domestico. La merce terminò prima delle cinque, come Deborah aveva previsto, e Catherine fu libera di andare ad offrire il suo aiuto alle corse dei pony. Arrivò nel terreno dietro casa giusto in tempo per vedere Stephen issare in sella Jimmy, che cacciava strilli di delizia, di fronte alla madre. Il sole, che sul volgere del giorno stava acquistando un colore pastoso, splendeva attraverso i capelli del bambino, e li faceva fiammeggiare. La chioma di Sally scivolò in avanti, mentre si chinava per sussurrare qualcosa a Stephen. Catherine udì il riso di lui in risposta. Era un momento che non avrebbe mai dimenticato. Ritornò sui prati, e si provò a ricatturare un po' della fiducia e dell'allegria con cui aveva cominciato quella giornata. Ma era inutile. Dopo aver vagato un po', alla ricerca affannosa di qualcosa con cui occupare la mente, decise di salire nella sua stanza, e coricarsi un po' prima di cena. Non incontrò né la signora Maxie né Martha, mentre attraversava la casa. Probabilmente erano occupate con Simon Maxie, oppure a preparare lo spuntino freddo che doveva concludere la giornata. Dalla finestra della sua stanza vide invece il dottor Epps, che stava ancora sonnecchiando presso il tirassegno e la caccia al tesoro, nonostante la parte più faticosa della giornata fosse ormai finita. Presto sarebbero stati annunciati, premiati e acclamati, i vincitori delle gare, e un esile, ma regolare fiotto di gente si stava già riversando dal giardino al parcheggio dei pullman.

All'infuori di quell'attimo nel giardino dietro casa, Catherine non aveva più visto Sally, e quando si fu lavata e cambiata, nel scendere le scale per dirigersi in sala da pranzo, apprese, incontrando Martha, che Sally e Jimmy non erano ancora rientrati. Il tavolo da pranzo era già preparato con carni fredde, insalate e scodelle di frutta fresca, e tutti gli invitati erano presenti, meno Stephen. Il dottor Epps, volubile e allegro come sempre, stava trafficando con le bottiglie di sidro. Felix Hearne stava disponendo i bicchieri, mentre la signorina Liddell aiutava Deborah a finire d'apparecchiare. Gli squittii di disappunto che questa mandava, quando non trovava ciò che voleva, i suoi brontolii inconcludenti per i tovaglioli, erano il sintomo di un disagio fuori della norma. La signora Maxie volgeva le spalle agli altri, guardando nello specchio sopra la mensola del caminetto. Quando si voltò, Catherine rimase colpita dai segni di stanchezza che le marcavano il viso.

«Stephen non è con te?» chiese.

«No. Non l'ho più visto da quando era ai cavalli. Sono stata in camera mia.»

«Probabilmente ha accompagnato a casa Bocock, per aiutarlo a rigovernare i cavalli. O forse si sta cambiando. Sarà meglio non aspettarlo.»

«Dov'è Sally?» chiese Deborah.

«Non in casa, a quanto pare. Martha mi ha detto che Jimmy è nella sua culla. Quindi dev'essere uscita di nuovo.»

La signora Maxie aveva parlato pacatamente. Se questa era una crisi domestica, la considerava evidentemente di importanza relativamente secondaria, tale da non giustificare ulteriori commenti di fronte agli ospiti. Felix Hearne la guardò di sfuggita, scoprendo con stupore le tracce familiari d'una aspettazione presaga. Sembrava una reazione assai strana per una situazione tanto comune. Guardando verso Deborah, ebbe la sensazione che condividesse il suo disagio. L'intera compagnia era un po' logorata, e se si eccettuavano le chiacchiere sconnesse e fastidiose della signorina Liddell, nessuno sembrava aver molto da dire. Dominava quel senso d'apatia che accompagna la gran parte delle riunioni mondane lungamente progettate. E l'affare era andato troppo oltre, perché potessero rilassarsi. Il sole radioso del giorno aveva ceduto il posto ad una serata afosa; non soffiava un alito di vento, ed era più caldo che mai.

Quando Sally fece la sua comparsa sulla porta, si voltarono a guardarla, come punti da un'urgenza comune. Lei si appoggiò ai pannelli di rivestimento, con le pieghe del suo vestito bianco aperte a ventaglio, come un'ala di piccione sul muro tristemente scuro. In quella luce strana e agitata, i suoi capelli fiammeggiavano contro il legno. La sua faccia era molto pallida, ma sorridente. E Stephen era al suo fianco.

La signora Maxie si rese conto della particolarità del momento; ognuno dei presenti sembrava percepire separatamente la presenza di Sally, eppure tutti si muovevano in silenzioso accordo, come tesi a fronteggiare una sfida comune. Nel tentativo di ripristinare la normalità, parlò con apparente noncuranza:

«Sono felice che tu sia qui, Stephen. Sally, faresti bene a rimetterti la tua divisa, ed andare ad aiutare Martha.»

Il sorriso contenuto della ragazza, si ruppe in una risata. Ci mise un attimo a riprendere un po' il controllo di sé, e a rispondere con un tono di voce quasi ossequioso nella sua derisoria rispettosità:

«Pensa che sarebbe appropriato, signora, per la ragazza che suo figlio ha chiesto in sposa?»

 

9

 

Simon Maxie trascorse una notte come le altre, né migliore né peggiore. È dubbio che altri, quella notte, avesse la sua stessa fortuna. Sua moglie vegliò fino a giorno fatto, piantata nello spogliatoio di lui, ascoltando battere le ore, mentre la lancetta luminosa avanzava a scatti inesorabili verso il giorno. Rivisse la scena avvenuta nel salotto tante volte, che ora le sembrava non ci fosse un minuto di quella che non ricordasse chiaramente, non una sfumatura nelle voci e nei sentimenti che le sfuggisse. Poteva ricostruire ogni parola dell'attacco isterico della signorina Liddell, del torrente di ingiurie maligne e semi-folli a cui Sally aveva risposto per le rime.

«Non parlate di ciò che avete fatto per me. Cosa ve n'è mai importato di me, vecchia ipocrita, affamata di sesso? Ringraziate che so tenere la bocca chiusa. Ce ne sarebbero di cose che potrei raccontare al paese sul vostro conto.»

 

Dopo questo scontro, se n'era andata, lasciando la compagnia a godersi la cena, con quel po' d'appetito che potevano ancora recuperare, o simulare. La signorina Liddell non aveva fatto molti sforzi. Ad un certo punto la signora Maxie le aveva visto una lagrima sulla guancia, che le aveva fatto pensare che stesse soffrendo sinceramente, che si fosse interessata di Sally ai limiti delle sue possibilità, e avesse onestamente gioito dei suoi progressi e della sua felicità. Il dottor Epps aveva consumato il pasto in modo insolitamente silenzioso, il che era segno sicuro che la mandibola e la mente lavoravano all'unisono. Stephen non aveva seguito Sally fuori della stanza, ma aveva preso posto vicino a sua sorella. Alla calma domanda di sua madre: «È vero, Stephen?» aveva risposto semplicemente: «Certo». Poi non aveva più parlato, e fratello e sorella avevano seduto vicino per tutto il pasto, mangiando poco, ma presentando un fronte compatto all'afflizione della signorina Liddell e agli sguardi ironici di Felix Hearne. Felix, pensò la signora Maxie, era l'unico membro della compagnia ad essersi goduto la cena. E non era sicura che i preliminari non gli avessero anche acuito l'appetito. Sapeva che Stephen non gli era mai piaciuto, e questo fidanzamento, se durava, gli avrebbe probabilmente offerto motivi di divertimento, oltre che aumentare le sue possibilità con Deborah. Nessuno poteva infatti credere che Deborah sarebbe rimasta a Martingale, una volta che Stephen si fosse sposato. La signora Maxie scoprì di avere un ricordo particolarmente vivido del volto curvato di Catherine, disdicevolmente agitato dal dolore o dal risentimento, e di come Felix Hearne l'avesse insensibilmente spinta a fare uno sforzo per controllarsi. Poteva essere molto divertente, quando voleva, e quella sera ci aveva dato dentro. Verso la fine della serata, era persino riuscito a strappare delle risate. Tutto ciò era veramente accaduto solo sette ore prima?

 

I minuti scorrevano via, e il loro battito era innaturalmente forte, nella quiete notturna. Aveva piovuto forte, sul far della notte, ma ora aveva smesso. Alle cinque le sembrò d'udire il marito agitarsi, e andò a vedere; ma giaceva sempre in quello stato di rigido stupore che chiamavano sonno. Stephen gli aveva cambiato sonnifero. Gli era stata data la soluzione, invece delle solite compresse, ma l'effetto sembrava proprio identico. Tornò a letto, ma non per dormire. Alle sei, alzatasi e infilata la vestaglia, riempì e attaccò il bollitore elettrico, per il suo tè mattutino. Il giorno, coi suoi problemi, era giunto infine.

Fu un sollievo per lei quando udì bussare, e Catherine scivolò dentro, ancora in pigiama e vestaglia. La signora Maxie era stata presa per un attimo dall'angoscia, pensando che Catherine volesse parlare dei fatti della sera precedente, discuterli, valutarli, deprecarli, farli comunque rivivere. Aveva passato la notte a far progetti, che non poteva né voleva spartire con Catherine. Tuttavia provò un moto inesplicabile di gioia, nel vedere un altro essere umano. Si accorse che la ragazza era pallida. Evidentemente qualcun altro aveva dormito poco. Catherine ammise che la pioggia l'aveva tenuta sveglia a lungo, e disse che si era svegliata presto con un brutto mal di testa. Non le venivano spesso ora, ma quando le capitava, erano molto forti. Non aveva per caso un'aspirina, la signora Maxie? Preferiva il tipo solubile, ma qualsiasi cosa avrebbe fatto lo stesso. La signora Maxie pensò che il mal di testa poteva essere una scusa per fare una chiacchierata confidenziale sulla questione Sally-Stephen, ma un'occhiata più penetrante agli occhi gonfi della ragazza la convinse che il male era genuino. Catherine non era evidentemente in condizione di progettare nulla. La signora Maxie la invitò a servirsi da sola, nell'armadietto delle medicine, e mise fuori un'altra tazza da tè sul vassoio. Catherine non era la compagnia che avrebbe preferito, ma perlomeno la ragazza sembrava disposta a bere il suo tè in silenzio.

Sedevano insieme davanti al fornello elettrico, quando arrivò Martha, con un tono e un contegno a metà tra l'indignazione e l'ansietà.

«Si tratta di Sally, signora» disse. «Credo che non si sia svegliata, come al solito. Non ha risposto quando l'ho chiamata, e tentando di aprire la porta ho scoperto che si è chiusa dentro. Così non posso entrare. Giuro che non capisco a che gioco stia giocando, signora.»

La signora Maxie depose la tazza sul piattino, e notò con distacco clinico e un lieve stupore che la sua mano non tremava. Una premonizione di disgrazia s'impadronì di lei, e dovette sostare un attimo, prima di poter padroneggiare la sua voce. Ma quando poté parlare, né Martha, né Catherine sembrarono consapevoli di ciò che le era costato.

«Hai bussato forte?» chiese.

Martha esitò. La signora Maxie sapeva cosa questo significava. Martha aveva deciso di non bussare troppo forte. Serviva meglio al suo scopo, lasciare che Sally dormisse più del dovuto. La signora Maxie, dopo una notte così agitata, trovò che quella meschineria era troppo da sopportare.

«Avresti fatto bene ad insistere» disse seccamente. «Sally ha avuto una giornata pesante ieri, come tutti noi. La gente non dorme più del dovuto senza un motivo.»

Catherine aprì la bocca, come per fare un commento, poi ci pensò su, e chinò la testa sulla tazza del tè. Nel giro di due minuti Martha era tornata, e questa volta non c'erano dubbi in proposito. L'ansia aveva avuto la meglio sull'irritazione, e qualcosa di molto simile al panico le velava la voce.

«Non riesco a farmi sentire. Il bambino è sveglio. Sta piagnucolando là dentro. Non riesco a farmi sentire da Sally!»

La signora Maxie non si era quasi resa conto di com'era giunta alla porta di Sally. Era così sicura, al di là di ogni dubbio, che la porta si sarebbe aperta, che batté e diede inutilmente strattoni per diversi secondi, prima di prendere atto della realtà. L'uscio era chiuso dal di dentro. Il rumore provocato aveva finito di svegliare Jimmy, ed il suo piagnucolio mattutino si stava trasformando in uno stridulo lamento impaurito. La signora Maxie poteva sentire il tintinnio delle sbarre del lettino, e se lo immaginava, avvolto nel suo bozzolo di lana, che si tirava su per strillare, in cerca della madre. Cominciò a sentire il sudore freddo sulla fronte, l'unica cosa che le evitava di abbandonarsi alle pulsazioni di panico, di fronte a quel legno ostinato. Martha ora gemeva, e fu Catherine a mettere una mano sulla spalla della signora Maxie, per confortarla e tranquillizzarla.

«Non vi agitate così. Chiamerò vostro figlio.»

"Perché non dice Stephen?" pensò la signora Maxie, in modo del tutto incongruente. "Mio figlio si chiama Stephen."

All'improvviso fu in mezzo a loro. Il rumore doveva averlo svegliato, perché Catherine non poteva averlo fatto venire così in fretta. Stephen parlò pacatamente.

«Dovremo entrare dalla finestra. La scala nella rimessa farà al caso nostro. Chiamerò Hearne.» Se ne andò, e il piccolo gruppo di donne attese in silenzio. I minuti passavano lentamente.

«Ci vorrà un po'» disse Catherine per rassicurarle. «Ma non ci metteranno molto. Sono sicura che sta bene. Probabilmente dorme ancora.»

Deborah la guardò a lungo. «Con tutto il rumore che sta facendo Jimmy? Scommetto che non ci sarà. Se n'è andata.»

«Ma perché avrebbe dovuto farlo?» disse Catherine. «E come spiegare la porta chiusa, allora?»

«Conoscendo Sally, immagino che abbia voluto farlo in modo spettacolare, e sia uscita dalla finestra. Sembra avere un debole per le scene, anche quando non è presente a godersele. Eccoci qui tremanti d'apprensione, mentre Stephen e Felix trascinano qua e là scale, con tutta la famiglia in subbuglio. Molto gratificante per la sua immaginazione.»

«Non avrebbe abbandonato il bambino» disse Catherine all'improvviso. «Nessuna madre l'avrebbe fatto.»

«A quanto pare questa sì» ribatté secca Deborah. Ma sua madre notò che non accennava ad abbandonare la compagnia.

Gli strilli di Jimmy avevano raggiunto ora un'intensità costante, in cui affogava ogni rumore prodotto dagli uomini con le scale, e poi entrando dalla finestra. Il primo rumore che si udì dalla stanza, fu il raschio della serratura. Poi Felix apparve sulla soglia. Alla vista della sua espressione, Martha diede un urlo, uno stridulo squittio da bestia impaurita. Alla signora Maxie, invece, sembrò di sentire i propri piedi indietreggiare, ma nessuno la seguì. Le altre passarono a forza la barriera costituita dal braccio di Felix, spinte da un impulso comune verso il luogo dove giaceva Sally. La finestra era aperta, e il cuscino era bagnato di pioggia. I capelli di Sally vi erano sparpagliati, come in una ragnatela d'oro. Aveva gli occhi chiusi, ma non dormiva. Dall'angolo serrato della bocca partiva un rivolo di sangue ormai secco, come un taglio nero. C'erano due lividi, sui lati del collo, dove le mani dell'assassino le avevano tolto la vita.

 

10

 

«Bel posto davvero, signore» disse il sergente Martin, mentre la macchina della polizia si fermava di fronte a Martingale. «C'è un certo cambiamento rispetto al nostro ultimo incarico.» Parlava con soddisfazione, perché era un uomo di campagna, per nascita e vocazione, e lo si sentiva spesso lamentarsi della propensione degli assassini a commettere i loro delitti in città sovraffollate, e case malsane. Annusava con gioia l'aria, e benediva i motivi che avevano spinto il commissario del luogo a chiamare Scotland Yard, fossero essi politici o di semplice prudenza. Correva voce che il commissario conoscesse personalmente le persone implicate e che, per questo e stante il caso ancora irrisolto al confine della contea, avesse ritenuto opportuno passare senza indugio ad altri la patata bollente. Al sergente Martin la faccenda piaceva. Il lavoro era uguale dovunque, ma un uomo poteva ben avere le sue preferenze.

L'ispettore capo Adam Dalgleish non rispose, ma scese dalla macchina e si fermò un attimo indietro per guardare la casa. Era una tipica residenza signorile elisabettiana, semplice, ma fortemente caratterizzata nel disegno. Le larghe campate a due piani, con finestroni a colonnine sormontati da una traversa, fiancheggiavano simmetricamente il portico centrale, quadrato. Sopra il gocciolatoio in pietra era scolpito un pesante blasone. Il tetto, digradando, terminava con una piccola balaustra aperta, di pietra, anch'essa scolpita con simboli in rilievo - e sette grandi camini in stile Tudor si stagliavano possenti nel cielo estivo. A ovest sporgeva una stanza dal muro curvo, probabilmente un'aggiunta dell'ultimo secolo. Le porte-finestre erano di vetro smerigliato, e conducevano al giardino. Per un istante vide un volto ad una di queste, ma scomparve subito. Qualcuno stava aspettando il loro arrivo. Dall'angolo ovest della casa un muro di pietra grigia correva, con ampia curva, verso i cancelli, perdendosi tra gli arbusti e i faggi. Gli alberi, da quel lato, arrivavano molto vicino alla casa. Sopra il muro, seminascosta da un mosaico di foglie, si vedeva la cima di una scala appoggiata ad un balcone a vetri chiuso. Probabilmente era la stanza della ragazza uccisa. La sua padrona non avrebbe potuto sceglierne una meglio disposta, per un'entrata illecita. Dietro al portico sostavano due veicoli, una macchina della polizia, con un uomo in borghese che sedeva impassibile al volante, e un carro funebre. L'autista, adagiato sul sedile, con la visiera del cappello abbassato, non aveva notato l'arrivo di Dalgleish, mentre il suo compagno aveva solo alzato negligentemente gli occhi, per ritornare subito al suo giornale domenicale.

Il sovrintendente locale li attendeva in anticamera. Si conoscevano superficialmente, com'è naturale di uomini importanti che facciano lo stesso mestiere, ma nessuno dei due aveva mai desiderato una conoscenza più approfondita. Manning trovò doveroso spiegare esattamente perché il suo capo avesse reputato opportuno chiamare Scotland Yard. Dalgleish rispose affabilmente. Due giornalisti sedevano subito vicino alla porta, con l'aria di cani affamati a cui sia stato promesso un osso se si comportano bene, ormai rassegnati ad aver pazienza. La casa era molto silenziosa, e profumava vagamente di rose. Dopo il caldo torrido patito in macchina, l'aria arrivava così fredda che Dalgleish ebbe un brivido involontario.

«La famiglia è riunita in salotto» disse Manning. «Ho lasciato un sergente con loro. Volete vederli?»

«No, prima vedrò il cadavere. I vivi aspetteranno.»

Il sovrintendente Manning li guidò su per l'ampio scalone quadrato, voltandosi a parlare mentre saliva.

«Ho raccolto un po' d'informazioni, prima di sapere che avrebbero chiamato la sede centrale. Probabilmente vi hanno già dato gli elementi essenziali. La vittima è la cameriera. Una ragazza madre, di ventidue anni. Strangolata. Il corpo è stato scoperto stamattina, alle sette e un quarto, dalla famiglia. La porta della sua camera da letto era chiusa. L'uscita e, probabilmente, l'entrata dell'assassino devono essere avvenute attraverso la finestra. Ne troverete le tracce sulla canna del camino e sul muro: per gli ultimi due metri sembra abbia fatto un salto. È stata vista per l'ultima volta ieri sera, alle dieci e mezza, mentre portava in camera la bevanda per la notte. Bevanda che non ha mai finito. Il boccale è sul comodino, di fianco al letto. Dapprima ho pensato che fosse quasi sicuramente opera di estranei alla famiglia. Hanno fatto una festa qui ieri, e chiunque poteva entrare nella tenuta. E anche in casa, per questa faccenda. Però ci sono alcune cose strane.»

«La bevanda, per esempio?» chiese Dalgleish. Intanto avevano raggiunto il pianerottolo, e stavano dirigendosi verso l'ala ovest della casa. Manning lo guardò in modo strano.

«Sì. Il cacao. Può essere stato drogato. Manca certa roba. Il signor Simon Maxie è un invalido, e dal suo armadietto delle medicine manca una boccetta di sonnifero.»

«Ci sono tracce di avvelenamento nel corpo?»

«Il medico legale è da lei ora. Ma ne dubito. Mi è sembrato uno strangolamento in piena regola. L'autopsia ci darà probabilmente la risposta.»

«Potrebbe aver preso quella roba lei stessa» disse Dalgleish. «C'è qualche ragione che potrebbe avercela spinta?»

Manning rifletté.

«Potrebbero essercene. Non ho elementi certi, ma ho raccolto i pettegolezzi.»

«Ah. Ci sono dei pettegolezzi.»

«Una certa signorina Liddell è venuta stamattina, per prendere il bambino della ragazza. Era qui a cena ieri sera. Dev'essere stata una bella cena, a sentir lei. Sembra che Stephen si sia dichiarato a Sally Jupp. Penso che questo potrebbe costituire un movente per la famiglia.»

«In questo caso lo credo anch'io» disse Dalgleish.

La stanza da letto aveva i muri bianchi, ed era piena di luce. Dopo l'oscurità dell'anticamera e dei corridoi ricoperti con pannelli di legno, questa stanza colpiva con la luminosità artificiale di un palcoscenico. Il cadavere era la cosa più irreale di tutte, un'attrice di seconda classe che tentava goffamente di simulare la morte. Gli occhi erano quasi chiusi, ma il suo viso conservava quell'espressione di leggero stupore che aveva notato spesso sul volto dei morti. Due piccoli denti molto bianchi erano confitti nel labbro inferiore, e le davano un aspetto da coniglietto, che da viva doveva colpire, o essere persino bello. Un'aureola di capelli fiammeggiava sul cuscino, come un'assurda sfida alla morte. Gli sembrarono un po' umidi. Quasi che la loro lucentezza non fosse stata cancellata dalla morte, pensava. Restò immobile a guardarla. Non sentiva mai dentro di sé sentimenti di pietà o di rabbia, in questi momenti, anche se la rabbia magari poi veniva, e doveva combatterla. Amava fissarsi bene in testa l'immagine del cadavere. Era diventata un'abitudine fin dal suo primo grosso caso, sette anni prima, quando aveva guardato il corpo deturpato di una prostituta di Soho, con muta risoluzione, e aveva pensato: "Ecco qua. Questo è il mio lavoro".

Il fotografo aveva finito il suo lavoro prima che il medico legale avesse cominciato ad esaminare il cadavere. Ora stava prendendo le ultime foto della stanza e della finestra, prima di riporre il suo equipaggiamento. L'uomo della scientifica aveva finito con Sally, e nel suo privato universo di spirali e misture, stava muovendosi con discreta efficienza dal pomo della porta alla serratura, dalla tazza del cacao al cassettone, dal letto al davanzale, per poi uscire sulla scala, e lavorare sulla canna fumaria e sulla scala stessa. Il medico legale, dottor Feltman, calvo, rotondo e allegramente sicuro di sé, come se provasse il perpetuo bisogno di dimostrare la sua impassibilità professionale di fronte alla morte, stava riponendo gli attrezzi in una custodia nera. Dalgleish l'aveva già incontrato, e lo conosceva per essere un ottimo dottore, che non aveva mai imparato a valutare dove finiva il suo lavoro e dove cominciava quello dell'investigatore. Attese che Dalgleish si fosse allontanato dal cadavere, e poi parlò.

«Noi siamo pronti a portarla via, se a voi va bene. Parlando in termini medici, il caso sembra piuttosto semplice. Strangolamento manuale, ad opera di un destro, posto di fronte a lei. È morta velocemente, probabilmente per inibizione del nervo vago. Ve ne potrò dire qualcosa di più dopo l'autopsia. Non ci sono segni di pratiche sessuali, ma questo non significa che il sesso non c'entri. Credo che non ci sia come trovarsi tra le mani un corpo morto, per togliervi ogni stimolo. Quando lo arresterete, vi dirà la solita storia: "Le ho messo le mani sul collo per spaventarla, e si è afflosciata". Dev'essere entrato dalla finestra, a giudicare da un primo esame. Forse troverete impronte sulla canna del camino, ma non credo che il terreno vi aiuterà. È una specie di acciottolato. Non c'è un terreno soffice, con due graziose impronte di piedi. E in ogni caso ha piovuto molto ieri notte, il che non aiuta molto in queste faccende. Bene, io andrei a chiamare i barellieri, se i vostri uomini hanno finito. Brutta faccenda, di domenica mattina.»

Se ne andò, e Dalgleish ispezionò la stanza. Era spaziosa e arredata con poco, ma l'impressione generale che dava era di luminosità e comodità. Pensò che un tempo doveva essere probabilmente la stanza dei bambini. Il vecchio focolare, sulla parete nord, era circondato da un parafuoco a rete fitta, dietro cui era stato installato un fuoco elettrico. Su ciascun lato c'erano profonde rientranze, sistemate con scaffali e armadietti, in basso. La piccola finestra a balconcino, a cui era appoggiata la scala, stava sul lato ovest, e guardava in cortile, verso le stalle. La finestra più larga copriva quasi tutto il muro sud, offrendo una vista panoramica sui prati e sul giardino. Il suo vetro era antico, con qua e là ornamenti tondi, e solo la parte superiore, trasversale, si poteva aprire.

Il letto ad una piazza, color crema, era disposto ad angolo retto con la finestra piccola, ed aveva da un lato una sedia, e dall'altro un comodino con sopra una lampada. Il lettino del bambino era sull'angolo opposto, seminascosto da un paravento. Era il tipo di paravento che Dalgleish ricordava dalla sua infanzia, fatto di dozzine di figure e cartoline attaccate ad una stoffa, e smaltate. Di fronte al camino c'erano un tappetino ed un seggiolone da neonato. Contro il muro, un semplice armadio e un cassettone.

La stanza era curiosamente anonima. Vi regnava la solita atmosfera, ricca e intima, che caratterizza quasi tutte le stanze dei bambini, impregnata di un lieve sentore di talco, sapone neutro, e di vestiti tiepidamente arieggiati. La ragazza, tuttavia, aveva lasciato ben poche tracce della sua personalità sulle cose che la circondavano. Mancava quel tipico disordine femminile che ci si sarebbe aspettato. I suoi pochi effetti personali erano ben disposti, ma poco indicativi. Si trattava in sostanza solo di una stanza per bambini, con un semplice letto per la madre. I pochi libri sugli scaffali erano opere popolari su come allevare i bambini, e le riviste erano di quelle dedicate alle madri e alle donne di casa, non quelle romantiche e più variopinte che leggerebbe una donna che lavora. Ne prese una, e la sfogliò. Dalle pagine sfuggì una busta con un francobollo venezuelano. L'indirizzo del destinatario era:

 

Egregio D. Pullen

Rose Cottage, Nessingford-road,

Little Chadfleet, Essex, England.

 

Sul risvolto c'erano tre date scritte a matita - mercoledì 18, lunedì 23, lunedì 30.

Scostandosi dallo scaffale al cassettone, Dalgleish estrasse ogni cassetto, e ne frugò sistematicamente il contenuto, con mano ormai allenata. Erano in perfetto ordine. Nel cassetto in alto c'erano solo vestiti da bambino. Erano quasi tutti lavorati a mano, e tutti puliti e ben curati. Il secondo conteneva la biancheria intima della ragazza, disposta in mucchi ordinati. Era il terzo a tenere in serbo delle sorprese.

«Cosa ne dici di questi?» gridò a Martin.

Il sergente si portò silenziosamente a fianco del suo capo, con una prontezza sconcertante per uno della sua mole, e prese nella sua mano massiccia uno dei capi di vestiario.

«Sembrerebbero fatti a mano, signore. Deve averli ricamati lei stessa, immagino. Ce n'è quasi un cassetto pieno. A me sembra un corredo.»

«Penso che si tratti proprio di questo. E non ci sono solo indumenti, ma anche tovaglie, asciugamani, e federe.» Mentre parlava, continuava a rivoltarli. «È una piccola dote, piuttosto patetica, Martin. Mesi di amoroso lavoro, pigiato in borse di lavanda e carta velina. Povera diavola. Pensi che questa roba fosse destinata a fare la gioia di Stephen Maxie? Faccio fatica a figurarmi questi modesti tovagliolini usati a Martingale.»

Martin ne tirò su uno, e lo esaminò con considerazione.

«Non poteva avere lui in mente, quando faceva questi. A sentire il sovrintendente, lui si è dichiarato solo ieri, mentre questi devono essere la fatica di mesi. Mia madre usava fare di questi lavori. Si fanno degli occhielli tutto attorno alla stoffa, e poi si taglia via il pezzettino centrale. Lo chiamano Richelieu, o qualcosa di simile. Fa un bell'effetto - se vi piacciono questo tipo di cose» aggiunse per riguardo all'evidente mancanza di entusiasmo del suo capo. Ruminò ancora un po' sui ricami, con nostalgica approvazione, poi li rese al capo, perché li riponesse nel cassetto.

Dalgleish si diresse verso la finestra-balcone, il cui ampio davanzale era alto un metro circa. Su questo erano sparsi ora una serie di luccicanti frammenti di vetro, i resti di una collezione di animaletti di vetro in miniatura. C'era un pinguino privo delle sue ali, riverso sul fianco, e un fragile cane bassotto, spaccato in due. Un gattino siamese, dagli incredibili occhi blu, era l'unico superstite in quell'olocausto di schegge.

Le due sezioni centrali della finestra, le più larghe, si aprivano verso l'esterno con un chiavistello, e la canna fumaria costeggiava, due metri più giù, una finestra identica, arrivando direttamente alla sottostante terrazza lastricata. Era una discesa facile per chiunque fosse ragionevolmente agile, e anche la salita era possibile. Poté constatare nuovamente come l'entrata o l'uscita da quella parte sarebbe stata perfettamente al sicuro da sguardi molesti. Alla sua destra il grande muro di mattoni, seminascosto dai rami di faggio, curvava verso il viale. Subito di fronte alla finestra, a cento metri di distanza, c'erano le vecchie stalle, con la loro attraente torretta dell'orologio. Dalle loro tettoie aperte si poteva osservare la finestra, ma solo da lì. A sinistra, solo una parte del prato era visibile, e sembrava che qualcuno ne avesse fatto scempio. C'era una piccola toppa di prato, recintata con la corda, dove l'erba era stata pestata o tagliata. Persino Dalgleish, dalla finestra, poteva vedere le zolle d'erba sollevate, che lasciavano scoperto il marrone della terra. Il sovrintendente Manning gli era giunto alle spalle, e rispose alle sue mute domande.

«Quella è la caccia al tesoro del dottor Epps. La tiene sempre nello stesso posto da vent'anni. C'è stata la festa parrocchiale qui, ieri. Le bandierine sono state tolte - perché il parroco vuole che sia tutto ripulito per la domenica - ma ci vogliono uno o due giorni prima di cancellare ogni traccia.»

Dalgleish si ricordò che Manning era quasi un uomo del luogo.

«Eravate qui?» chiese.

«Non quest'anno. Sono stato di servizio pressoché ininterrottamente, questa settimana. Dobbiamo ancora far luce su quell'omicidio avvenuto al confine della contea. Non ci vorrà molto ormai, ma mi ha impegnato parecchio. Io e mia moglie venivamo una volta all'anno, per la festa, ma questo era prima della guerra. Era diverso allora, ma ora non credo che ci interesserebbe più. Tuttavia richiama ancora una bella folla. Qualcuno potrebbe aver incontrato la ragazza, ed essere riuscito a sapere da lei dove dormiva. Significherà una bella mole di lavoro controllare i suoi movimenti per tutto il pomeriggio e la sera di ieri.» Il suo tono implicava il compiacimento di esserne stato esentato.

Dalgleish non traeva mai conclusioni affrettate dai dati raccolti. Tuttavia, i fatti che aveva collezionato fino a quel momento non autorizzavano la comoda ipotesi che si trattasse di un intruso casuale e sconosciuto. Non c'erano tracce di tentativi di violenza carnale, né segni di furto. L'ispettore aveva idee molto aperte riguardo a quella faccenda della porta chiusa. Se anche si doveva ammettere che la famiglia Maxie si fosse trovata dal lato giusto della porta, quel mattino alle sette, questo non escludeva che i suoi membri fossero virtualmente capaci di calarsi dalla canna fumaria, o di scendere una scala, come chiunque altro.

Il cadavere era stato portato via, una bianca e goffa sagoma avvolta nel lenzuolo, irrigidita sulla barella, destinata al bisturi del patologo e alle bottiglie dell'analista. Manning li aveva abbandonati per telefonare in ufficio, e Dalgleish e Martin continuarono la loro paziente ispezione alla casa. Vicino alla camera di Sally c'era un bagno, all'antica, con una vasca profonda racchiusa da una rivestitura di mogano, e un intero muro coperto da un armadio a giorno, con una scaffalatura formata da lunghe mensole. Gli altri tre muri erano coperti da un'elegante tappezzeria a fiori, sbiadita dagli anni, e sul pavimento era fissato un tappeto non ancora consunto. Il locale non offriva nascondigli. Dal pianerottolo, fuori, una rampa di scale rivestite di panno curvava giù verso il corridoio coperto di pannelli, che da un lato portava all'ala dei servizi, dall'altro all'ingresso principale. Proprio in fondo alle scale c'era la massiccia porta del lato sud. Era socchiusa, e Dalgleish e Martin uscirono dalla frescura di Martingale nella pesante afa diurna. Da qualche parte le campane di una chiesa stavano suonando il mattutino domenicale. Il suono ne giungeva chiaro e dolce, tra gli alberi, portando a Martin il ricordo delle domeniche campestri della sua fanciullezza, e a Dalgleish la consapevolezza che c'era ancora molto da fare, e la mattina volgeva al termine.

«Daremo un'occhiata all'edificio delle vecchie stalle, e al muro ovest sotto la sua finestra. Dopo, la cosa che mi interessa di più è la cucina. Fatto questo, passeremo all'interrogatorio. Ho la sensazione che la persona che cerchiamo abbia dormito sotto questo tetto, la notte scorsa.»

 

11

 

In salotto i Maxie, con i loro due ospiti e Martha Bultitaft, aspettavano di essere interrogati, discretamente sorvegliati da un sergente, che si era sistemato in una piccola sedia vicino alla porta. Sembrava sedere nella più piena indifferenza, apparentemente molto più a suo agio dei proprietari. I suoi sorvegliati avevano ciascuno le proprie ragioni per chiedersi quanto li avrebbero fatti aspettare, ma nessuno voleva mostrare la propria ansia col domandarlo. Era stato loro detto che l'ispettore capo Dalgleish, di Scotland Yard, era arrivato, e sarebbe stato presto da loro. Quanto presto nessuno aveva la forza di chiederlo. Felix e Deborah avevano ancora gli indumenti indossati per la cavalcata del mattino. Gli altri si erano vestiti in fretta e furia. Avevano mangiato tutti poco, e ora sedevano aspettando. Visto che sarebbe apparso snaturato leggere, scandaloso suonare il piano, poco giudizioso parlare del delitto, ma innaturale parlar d'altro, sedevano in un silenzio adamantino. Felix Hearne e Deborah erano sul divano, ma sedevano un po' discosti, e ogni tanto lui si chinava per sussurrarle qualcosa all'orecchio. Stephen si era appoggiato ad una finestra, e voltava le spalle alla stanza. Era una posizione, come notò cinicamente Felix Hearne, che gli consentiva di nascondere il volto, dimostrando un dolore inarticolato con la positura reclina della testa. Almeno quattro degli astanti avrebbero proprio voluto sapere se quel dolore era veramente genuino. Eleanor Maxie sedeva tranquillamente in una sedia, un po' appartata, vuoi intorpidita dal dolore, vuoi assorta in profondi pensieri. La faccia era molto pallida, ma il subitaneo panico che l'aveva colta davanti alla porta di Sally ora era svanito. Sua figlia si accorse che almeno lei si era presa la briga di vestirsi bene, e mostrava un aspetto quasi normale alla famiglia e agli ospiti. Anche Martha sedeva un po' da parte, terribilmente a disagio sull'orlo della sedia, lanciando di tanto in tanto sguardi furiosi al sergente. Lo riteneva naturalmente responsabile del suo imbarazzo di dover sedere con la famiglia, addirittura in salotto, mentre c'era tanto lavoro da fare. Lei, che era rimasta così sconvolta e terrorizzata dalla scoperta di quella mattina, sembrava considerare ora l'intera faccenda come un insulto personale, e sedeva in preda ad un tetro risentimento. Catherine dava invece l'idea di essere molto a suo agio. Aveva preso dalla borsetta una piccola agendina, e vi scriveva ad intervalli, come per rinfrescarsi la memoria sui fatti di quella mattina. Nessuno si lasciava ingannare da quest'apparenza di normalità ed efficienza, ma tutti le invidiavano l'occasione di imbastire un così bello spettacolo. Sedevano tutti in un sostanziale isolamento, seguendo i propri pensieri. La signora Maxie teneva gli occhi sulle proprie mani robuste, chiuse in grembo, ma la sua mente correva al figlio.

"Ne uscirà, i giovani ci riescono sempre. Grazie a Dio, Simon non lo saprà mai. Sarà difficile accudirlo ora, senza l'aiuto di Sally. Ma non dovrei pensare a questo, immagino. Povera ragazza. Potrebbero esserci impronte su quella serratura. La polizia ci avrà pensato. Ma c'era la faccenda dei guanti. Tutti sappiamo che ci vogliono i guanti, al giorno d'oggi. Mi domando quanta gente sarà andata da lei, attraverso quella finestra. Credo che avrei dovuto pensarci, ma come potevo? Dopotutto aveva un bambino con sé. Cosa fare con Jimmy? Una madre uccisa, ed un padre che ora non conoscerà mai. Questo segreto è riuscito a difenderlo. Uno dei tanti, probabilmente. Non si conosce mai abbastanza la gente. Cosa so io di Felix? Potrebbe essere pericoloso. E anche questo ispettore capo potrebbe esserlo. Martha dovrebbe essere in cucina a preparare il pranzo. Sempre che qualcuno voglia pranzare. Dove mangeranno i poliziotti? Probabilmente vogliono solo usare le nostre stanze oggi. L'infermiera sarà qui a mezzogiorno, e io dovrò andare da Simon. Credo che potrei andarci anche ora, se lo chiedessi. Deborah è al limite. Tutti noi lo siamo. Se solo potessimo evitare di pensare."

Deborah pensava: "Dovrei odiarla meno, ora che è morta, ma non ci riesco. Ha sempre creato scompiglio. Si divertirebbe a vederci così, con la testa che suda. E forse ci vede. Non devo lasciarmi suggestionare. Se solo potessimo parlarne. Avremmo anche potuto mantenere il silenzio su Stephen e Sally, se non ci fossero stati a cena Eppy e la signorina Liddell. E Catherine ovviamente. Catherine c'è sempre. Credo che questa faccenda le piaccia molto. Felix sa che Sally è stata drogata. Beh, se è così, dev'essere stato col mio boccale. Lasciamo che ne facciano quello che vogliono".

Felix Hearne pensava: "Non possono metterci ancora molto. Tutto sta nel non perdere le staffe. Sarà un poliziotto perfettamente inglese, un cortese poliziotto che ci farà le domande secondo le leggi stabilite. La paura è il demone da esorcizzare. Posso immaginare la faccia dell'ispettore Dalgleish, se decidessi di spiegarglielo. Dovete scusarmi, ispettore, se sembro terrorizzato da voi. È una reazione puramente automatica, uno scherzo del sistema nervoso. Ho una certa avversione per gli interrogatori formali, e ancor di più per la perfetta regia di queste sedute informali. Ne ho avuta qualche esperienza in Francia. Ora mi sono perfettamente ripreso dai suoi effetti, salvo per questa piccola eredità, capite. Tendo a perdere la calma. È solo fottuta paura. Sono sicuro che capirete, signor ispettore. Le vostre domande sono così ragionevoli! È un vero peccato che io non mi fidi delle domande ragionevoli. Naturalmente non bisogna dare troppo peso a questa faccenda. È una piccola debolezza. Solo una parte relativamente piccola della nostra esistenza è spesa a rispondere alle domande della polizia. Ne sono uscito abbastanza bene. Mi hanno lasciato anche un po' delle mie unghie. Sto solo tentando di spiegarvi che potrei trovare difficile darvi le risposte che desiderate".

Stephen si voltò.

«Cosa ne direste di un avvocato?» chiese d'un tratto. «Non dovremmo chiamare Jephson?»

La madre levò gli occhi dalla contemplazione silenziosa delle sue mani serrate.

«Matthew Jephson è in viaggio da qualche parte sul continente. Lionel è a Londra. Potremmo chiamarlo, se ti sembra necessario.»

La sua voce aveva un tono interrogativo. Deborah sbottò impulsivamente :

«Oh, mamma! Non Lionel Jephson. È il più borioso seccatore di questa terra. Aspettiamo di essere arrestati, prima di lasciare che venga a frastornarci. E poi, non è nemmeno un penalista. Si intende solo di amministrazione, dichiarazioni legali e documenti. Questa faccenda scuoterebbe la sua rispettabile coscienza alla radice. Non potrebbe evitarlo.»

«E tu, Hearne?» chiese Stephen.

«Lotterò senza bisogno d'aiuti, grazie.»

«Dovremmo scusarci per averti coinvolto in tutto questo» disse Stephen in tono di affettata formalità. «È spiacevole, e disturbante. Non so quando potrai tornare a Londra.»

Felix pensò che queste scuse avrebbero dovuto essere fatte a Catherine Bowers. Ma Stephen sembrava deciso ad ignorare la ragazza. Pensava seriamente, quello sciocco e arrogante giovane, che si trattasse solo di una faccenda spiacevole e disturbante? Mentre rispondeva, fissò la signora Maxie.

«Sarò molto felice di restare - volente o nolente. Potrei essere utile.»

Catherine stava aggiungendo le sue ardenti assicurazioni al proposito, quando il sergente balzò sull'attenti d'un sol colpo, come restituito alla vita da una scossa elettrica. La porta si aprì, ed entrarono tre poliziotti vestiti semplicemente. Il sovrintendente Manning lo conoscevano già. Presentò brevemente i suoi colleghi come l'ispettore capo Adam Dalgleish e il sergente George Martin, della sezione investigativa. Cinque paia d'occhi si puntarono simultaneamente sul più alto dei due estranei, timorosi, indagatori, o solo francamente curiosi.

Catherine Bowers pensò: "Alto, bruno e bello. Non me l'aspettavo. Veramente una faccia interessante".

Stephen Maxie pensò: "Un diavolo arrogante. Se l'è presa con comodo, prima di venire. Immagino che l'idea fosse quella di ammorbidirci un po'. O se no, avrà ficcato il naso in giro per la casa. Questa è la fine della nostra riservatezza".

Felix Hearne pensò: "Bene, eccolo qua. Adam Dalgleish, ne ho già sentito parlare. Lavora sempre in gara col tempo, appassionato e in modo non ortodosso. Penso che abbia i suoi obblighi. Comunque ci hanno giudicato almeno avversari degni del meglio".

Eleanor Maxie pensò: "Dove ho già visto quella testa? Ma certo. Quel Dürer. Era a Monaco? Ritratto di uno sconosciuto. Chissà perché ci si aspetta sempre che gli ufficiali di polizia indossino il cappello duro e l'impermeabile?".

Durante lo scambio delle presentazioni e delle cortesie di cerimonia, Deborah Riscoe lo fissò intensamente, come se lo vedesse attraverso un velo di capelli rosso dorati.

Quando parlò, lo fece con una voce stranamente profonda, calma e priva d'enfasi.

«Ho saputo dal sovrintendente Manning che il piccolo studiolo qui accanto è stato messo a mia disposizione. Spero di non dover monopolizzare a lungo né quello, né voi. Vorrei vedervi separatamente, per favore, nel seguente ordine.»

«Venite nel mio studio, alle nove, nove e cinque, nove e dieci...» sussurrò Felix a Deborah. Non sapeva se cercava sollievo per sé o per lei, ma comunque non ebbe nessun sorriso di risposta.

Dalgleish lasciò vagare un attimo lo sguardo sul gruppo.

«Il signor Stephen Maxie, la signorina Bowers, la signora Maxie, la signora Riscoe, il signor Hearne e la signora Bultitaft. Quelli che aspettano dovranno attendere qui, per cortesia. Se qualcuno deve lasciare la stanza, in anticamera ci sono un ufficiale della polizia femminile e un agente, che vi accompagneranno. La sorveglianza verrà tolta non appena sarete stati tutti interrogati. Vuole venire con me, per favore, signor Maxie?»

 

12

 

Stephen Maxie prese l'iniziativa.

«Credo che sia meglio cominciare col farvi sapere che io e la signorina Jupp avevamo deciso di sposarci. Le avevo fatto la proposta ieri sera. Non è un segreto, del resto. Non può aver niente a che fare con la sua morte, e non sarebbe valso neanche la pena di dirlo, se non fosse che lei ha dato la notizia in pasto ai pettegoli del paese, cosicché l'avreste saputo abbastanza presto.»

Dalgleish, che l'aveva già saputo, e non era affatto convinto che la proposta non avesse a che fare col delitto, ringraziò gravemente il signor Maxie per la sua franchezza, e gli espresse formali condoglianze per la morte della fidanzata.

«Non penso di avere diritto di accettare delle condoglianze. Non riesco neanche a sentirmi addolorato. Penso che lo sarò, quando lo shock sarà passato un po'. Ci eravamo appena fidanzati, ieri, e ora è morta. Non ci posso ancora credere.»

«Vostra madre sapeva del fidanzamento?»

«Sì, tutta la famiglia lo sapeva, eccetto mio padre.»